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Variazione orario di lavoro: il rifiuto del dipendente legittima il licenziamento?

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(@valentina-azzini)
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Sì al licenziamento del lavoratore che rifiuta il passaggio da part-time a tempo pieno, purché non sia possibile utilizzare la prestazione a tempo parziale

L’azienda per la quale lavori con contratto a tempo parziale ti ha proposto un aumento dell’orario lavorativo, ma tu non sei d’accordo, perché ad esempio non riusciresti altrimenti a conciliare le esigenze lavorative e famigliari, oppure, viceversa, ti è stata prospettata una riduzione di orario rispetto alla quale sei contrario, poiché comporterebbe una retribuzione mensile più bassa. Temi però che il tuo rifiuto possa portare il datore a licenziarti. In buona sostanza, ti chiedi se, in caso di variazione dell’orario di lavoro, il rifiuto del dipendente legittima il licenziamento da parte dell’azienda. In generale la risposta è negativa, sebbene vi siano alcune eccezioni da non sottovalutare. Vediamo nello specifico in quali casi l’azienda può licenziare a fronte del rifiuto del dipendente alla variazione dell’orario di lavoro.

Contratto di lavoro a tempo pieno e part-time

I contratti di lavoro a tempo pieno sono quelli maggiormente diffusi e prevedono un orario lavorativo generalmente stabilito in 40 ore settimanali, salvo diverse previsioni contenute nei CCNL di categoria (si pensi, ad esempio, al CCNL autoscuole, che prevede come orario normale di lavoro 39 ore settimanali).

Il rapporto di lavoro a tempo parziale ( o part-time) si caratterizza invece per la previsione di un orario lavorativo inferiore alle 40 ore settimanali. Si tratta di una forma occupazionale flessibile e può essere di tre tipi:

  • orizzontale, quando il dipendente lavora tutti i giorni per un orario inferiore rispetto all’orario normale giornaliero
  • verticale, quando il dipendente lavora a tempo pieno solo alcuni giorni della settimana, del mese, o dell’anno
  • misto, caratterizzato da una combinazione delle due forme precedenti.

Il contratto di lavoro a tempo parziale consente di poter meglio conciliare le esigenze lavorative e familiari, oppure di utilizzare il tempo libero per dedicarsi ad altra occupazione, purché non in concorrenza.
Il lavoratore a tempo parziale ai medesimi diritti del lavoratore a tempo pieno, riproporzionati tuttavia all’effettivo minore orario di lavoro prestato.

La trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time e viceversa

La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time e viceversa è ammissibile solo su accordo delle parti, risultante da atto scritto.

Vi sono però talune ipotesi in occasione delle quali la trasformazione del rapporto da full time a part-time è espressamente prevista dalla legge, sia nel settore pubblico che privato.

In particolare:

  • nei casi in cui i lavoratori siano affetti da patologie oncologiche, o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti
  • in caso di patologie oncologiche, o cronico-degenerative ingravescente riguardanti il coniuge, i figli, o i genitori del lavoratore, nonché qualora il lavoratore assista una persona convivente con totale permanente inabilità lavorativa, in condizioni di gravità e che abbia necessità di assistenza continua
  • in caso di richiesta del lavoratore con figlio convivente di età non superiore a 13 anni, o con disabilità grave

Nel caso in cui rapporto si sia trasformato da full time a part-time, il lavoratore ha comunque diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per lo svolgimento delle medesime mansioni o di mansioni equivalenti.
Inoltre, al fine di conciliare i tempi lavorativi e familiari, il lavoratore può chiedere, per una sola volta nel corso del rapporto di lavoro, in luogo del congedo parentale o nei limiti di quello ancora spettante, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale con riduzione dell’orario non superiore al 50%.

Rifiuto alla variazione dell’orario di lavoro e licenziamento

Come affermato poco sopra, la variazione dell’orario di lavoro può avvenire solo su accordo delle parti risultante da atto scritto.

Inoltre, in linea generale, il rifiuto del lavoratore alla variazione dell’orario di lavoro non può essere motivo di licenziamento.
Questo in ragione del fatto che, al momento della conclusione del contratto di lavoro, le parti hanno pattuito pattuito un determinato assetto di interessi, comprensivo di una ben precisa articolazione della prestazione lavorativa. Di conseguenza, ogni modifica dell’orario di lavoro deve essere frutto di un successivo accordo delle parti e mai di una decisione assunta unilateralmente dall’azienda.

Vi è però un’eccezione a questa regola generale: si tratta del caso in cui il recesso del datore di lavoro non sia motivato dal “no” opposto al cambio di orario, ma dall’impossibilità di utilizzo della prestazione a tempo parziale. In altre parole, il datore di lavoro, che si trovi in una situazione economica tale da rendere necessaria una revisione dell’organizzazione del personale, potrà licenziare il dipendente che si sia rifiutato di variare in aumento o in diminuzione proprio orario di lavoro.
Si pensi al caso in cui un’azienda non riesca più a sostenere i costi di un lavoratore a tempo pieno e pertanto, quale alternativa al suo licenziamento, gli proponga una riduzione dell’orario. In questo caso, il diniego del dipendente legittimerà il datore a recedere dal rapporto, non potendo altrimenti impiegarlo e sostenerne i costi.

Affinché il licenziamento possa dirsi legittimo, sarà tuttavia necessario che l’azienda dimostri:

  • le concrete esigenze economiche e organizzative, tali da non consentire di mantenere in forza il dipendente senza una preventiva variazione del suo orario di servizio
  • l’offerta fatta al lavoratore di trasformazione del rapporto e il rifiuto opposto da quest’ultimo
  • la presenza di un nesso causale tra le esigenze di variazione dell’orario di lavoro e il licenziamento
 
Pubblicato : 1 Gennaio 2024 13:00