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Uso improprio del PC aziendale: che si rischia?

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(@angelo-greco)
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Cosa accade quando un dipendente usa il computer aziendale per fini personali, oltrepassando i limiti.

Navigare su Internet durante l’orario di lavoro sottrae tempo alle proprie mansioni e quindi danneggia l’azienda che paga lo stipendio “a vuoto”. Si tratta quindi di un illecito disciplinare che può comportare una sanzione e, nei casi più gravi, il licenziamento. Tuttavia, nell’ambito del pubblico impiego, tale condotta può configurare un reato.

Questo articolo si propone di analizzare una recente sentenza che ha chiarito che si rischia per l’uso improprio del PC aziendale. Ma procediamo con ordine.

Il PC aziendale può essere messo sotto controllo?

Gli strumenti che il datore di lavoro fornisce ai propri dipendenti possono essere sottoposti a controllo. Tra questi vi sono i computer, i tablet, i laptop, gli smartphone. Lo prevede la legge che, nel 2015, ha riformato il mondo del lavoro (il cosiddetto Jobs Act). Tale normativa consente al datore di lavoro di verificare la cronologia di navigazione dei propri dipendenti e, quindi, i siti da questi visitati, ma anche le email inviate e ricevute, l’archivio dei file salvati e quant’altro memorizzato dalla macchina.

Il lavoratore deve essere informato dell’astratta possibilità di un controllo. L’avviso deve essere contenuto nel regolamento aziendale o chiarito per iscritto al momento dell’assunzione. Non sono peraltro previste altre forme di autorizzazione (ad esempio quella dei sindacati necessaria invece per la videosorveglianza).

Il datore di lavoro può altresì inibire l’accesso a determinati siti o piattaforme (ad esempio YouTube, Facebook, ecc.).

Cosa succede per l’uso improprio del PC aziendale?

Se, in astratto, l’uso per fini personali del PC aziendale – ossia per navigare su siti non pertinenti alle mansioni – è un illecito disciplinare, la sanzione deve essere sempre proporzionata alla gravità dell’illecito e quindi alla quantità del tempo sottratto alle proprie mansioni. Il licenziamento – come sanzione disciplinare più grave – deve essere confinata ai casi più gravi: essa infatti è l’estrema soluzione per il “recidivo”. La semplice circostanza che un lavoratore abbia fatto ricerche personali sul computer dell’ufficio per poche volte non può essere motivo di licenziamento ma potrà giustificare sanzioni meno gravi come il richiamo verbale o scritto oppure la sospensione dal servizio.

Quando l’uso improprio del PC aziendale è reato?

Recentemente, la Cassazione (sent. n. 40702 del 05.10.2023) ha ricordato come un dipendente pubblico, utilizzando eccessivamente il pc aziendale per fini personali, commette il reato di peculato d’uso. La ragione sta nel fatto che, anche se non c’è un danno economico diretto all’azienda (dato l’abbonamento flat alla connessione via internet), l’uso improprio del computer può compromettere l’operatività dell’ufficio.

Il peculato d’uso si configura quando un bene di servizio viene utilizzato in modo non episodico e non occasionale, causando una compromissione della funzionalità dell’ufficio o dell’ente. Ad esempio, se un dirigente passa 4 o 5 ore al giorno navigando su Internet per fini privati, ciò può rappresentare un chiaro pregiudizio per l’ente.

La vicenda

Un ex responsabile degli acquisti di una spa pubblico-privata ha trascorso molte ore lavorative navigando in rete, focalizzandosi su argomenti di interesse personale, tra cui siti per adulti. Sebbene non ci fosse un danno economico diretto (dato l’abbonamento flat), l’uso smodato del pc ha distratto il dipendente dai suoi doveri lavorativi.

Dall’indagine è emerso che il computer aziendale del dipendente conteneva molti più file privati che aziendali. Inoltre, erano stati installati filtri per rendere anonima la navigazione, bypassando le restrizioni aziendali sui siti per adulti. Una perizia informatica ha confermato che l’uso del pc per scopi personali era stato tutt’altro che “episodico e modesto”.

Quali sono le possibili conseguenze di tale comportamento?

Nel caso in questione, il dipendente è stato licenziato a causa della gravità del suo comportamento.

Inoltre l’azienda pubblica ha sporto denuncia per peculato. Il procedimento penale si è conclusi con la condanna del lavoratore infedele.

 
Pubblicato : 6 Ottobre 2023 06:45