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Un contratto di lavoro può essere peggiore del precedente?

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(@paolo-remer)
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Quando le modifiche sfavorevoli ai lavoratori sono ammesse o vietate; cosa succede se con la successione tra i Ccnl le clausole cambiano; quando si mantengono i diritti quesiti.

Oggi più del 90% dei contratti di lavoro stipulati in Italia rientra nelle previsioni generali dei contratti collettivi nazionali di lavoro: sono i famosi Ccnl, che vengono redatti con accordi tra i sindacati maggiormente rappresentativi dei datori (comprese le Pubbliche Amministrazioni, rappresentate dall’Aran) e dei dipendenti. La legge lascia molto spazio alla contrattazione collettiva per regolamentare tutti i vari aspetti dei rapporti di lavoro nei diversi comparti produttivi: retribuzione, orari e turni, indennità, ferie, permessi e  riposi, mansioni, livelli e incarichi, progressioni in carriera, e molto altro ancora, fino alle norme sui licenziamenti e le altre sanzioni disciplinari.

Le trattative sindacali sono spesso lunghe e faticose – lo sa bene chi appartiene ad una delle tante categorie di lavoratori che da anni attende il rinnovo del proprio contratto – e, nonostante l’impegno e le energie profuse nei “tavoli” di concertazione dove si discute e ci si confronta, talvolta il frutto atteso non corrisponde alle aspettative, perché – sorpresa! – il nuovo Ccnl contiene modifiche che risultano sfavorevoli ai lavoratori. Allora molti si chiedono: un contratto di lavoro può essere peggiore del precedente? Non ci sarebbero dei diritti acquisiti e consolidati, che una volta ottenuti bisogna salvaguardare sempre?

Ti sarai accorto che stiamo incentrando la discussione sui contratti collettivi di lavoro, anziché su quelli individuali, e adesso capirai subito il perché: iniziamo col chiarire i rapporti e le interferenze possibili tra questi due tipi di contratti per arrivare poi al punto nodale della questione, che sta proprio nei Ccnl, un po’ come i rami dell’albero non possono discostarsi troppo dal tronco.

Rapporti tra Ccnl e contratti di lavoro individuali

L’art. 2077 del Codice civile stabilisce le regole di prevalenza del contratto collettivo sul contratto individuale di lavoro. C’è una grande influenza del primo sul secondo, che si traduce in un vero e proprio dominio: la norma, infatti, dispone che: «I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo».

Quindi ogni Ccnl di categoria condiziona tutti i contratti di lavoro – aziendali ed individuali – stipulati in quell’ambito di applicabilità: le previsioni contenute in questi ultimi devono conformarsi. Ad esempio, l’esercente di un ristorante non può prevedere per i propri camerieri di sala una paga (oraria, giornaliera, settimanale o mensile) inferiore alle tabelle contenute nel Ccnl di riferimento; se lo fa essi avranno diritto alla retribuzione prevista nella contrattazione collettiva. Anche per questo motivo il lavoratore non può validamente rinunciare ai diritti previsti in suo favore da disposizioni di legge o dai contratti collettivi (lo prevede l’art. 2113 del Codice civile, che non a caso non menziona i contratti individuali).

Quando il contratto individuale si discosta dal Ccnl

Cosa succede se ciò non accade, e dunque le disposizioni del singolo contratto di lavoro divergono dalle previsioni del Ccnl? La norma del Codice civile risponde anche a questa domanda e stabilisce che: «Le clausole difformi dei contratti individuali preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro».

Così – tornando all’esempio precedente – il ristoratore potrà riconoscere ai suoi dipendenti una paga oraria di 11 euro se il Ccnl ne prevede 10, ma non potrà pagarli 9 euro. In sostanza, si verifica una sostituzione automatica delle clausole difformi in senso peggiorativo, per ristabilire le previsioni collettive – che in tal caso devono prevalere per legge – mentre le clausole che contengono condizioni migliori per i lavoratori rispetto a quelle indicate nel Ccnl rimangono valide. Detto in poche parole: i contratti individuali possono sempre derogare in meglio, e mai in peggio, a ciò che stabilisce il Ccnl.

Quando vale il criterio del trattamento più favorevole

La Corte di Cassazione si è occupata della questione che stiamo affrontando, e in una recente ordinanza della Sezione Lavoro [1] ha affermato che il criterio del trattamento più favorevole nei confronti del lavoratore si applica solo nell’ambito dello specifico rapporto tra contratto collettivo e individuale che abbiamo appena esaminato, e non oltre. Questo vuol dire che la gerarchia tra le due fonti del rapporto di lavoro esaurisce la sua efficacia quando si tratta di analizzare le specifiche clausole contrattuali contenute in un Ccnl per verificare siano migliori, analoghe o peggiori di quelle del precedente Ccnl che il nuovo ha sostituito: in tal caso il confronto va eseguito tra fonti normative di pari rango, come appunto sono due contratti collettivi nazionali che si succedono nel tempo, e qui si applicano regole diverse.

Modifiche sfavorevoli al lavoratore: sono ammesse?

Secondo la Suprema Corte, il contratto collettivo, nel prevedere la sostituzione automatica di clausole contenute nel contratto individuale, quando risultano sfavorevoli al lavoratore, con quelle migliori stabilite dalla contrattazione a livello nazionale, opera una «integrazione eteronoma» delle disposizioni contrattuali pattuite tra il dipendente ed il suo datore di lavoro, vale a dire che preleva ed inserisce le clausole più favorevoli presenti nel Ccnl (fonte di livello superiore) ma che non compaiono nel contratto di lavoro individuale ed aziendale (fonte di grado inferiore e che appunto per questo va integrata dalla norma di livello più elevato).

Ma questo criterio non opera più quando si tratta di confrontare fra loro due contratti collettivi, che, come abbiamo visto, sono di pari livello. Tutto questo comporta che le modificazioni peggiorative di un Ccnl rispetto al precedente sono ammissibili: è un fenomeno tipico della successione dei contratti collettivi di categoria nel corso del tempo, e non è affatto detto che le nuove condizioni dei rapporti di lavoro, se guardate dal punto di vista dei lavoratori e nel loro interesse, debbano necessariamente essere migliori delle precedenti. Quindi talvolta il frutto della contrattazione collettiva può essere amaro, e questo è legittimo.

La salvezza dei diritti quesiti

C’è, però, un preciso limite alla possibilità di peggiorare la posizione dei lavoratori con un nuovo Ccnl che modifica alcune clausole del precedente (o non ripropone talune agevolazioni che esso conteneva): si tratta dei cosiddetti diritti quesiti, ossia le posizioni giuridiche già conseguite definitivamente dal soggetto interessato, che perciò deve continuare a beneficiarne in virtù dei pregressi contratti collettivi che le avevano introdotte.

Un esempio in tal senso è il diritto alla retribuzione per le prestazioni lavorative già effettuate prima del subentro tra i contratti collettivi ed ancora non pagate: un nuovo Ccnl non può abbassare con effetto retroattivo lo stipendio per il lavoro svolto sotto la vigenza del precedente contratto, che quindi andrà retribuito ancora nella misura stabilita dalle vecchie e più favorevoli norme.

Sintesi e conclusioni

Tirando le fila del nostro discorso, in estrema sintesi possiamo dire che:

  • il contratto individuale deve riprodurre le previsioni del Ccnl vigente ma può sempre discostarsene in meglio;
  • se il contratto individuale contiene disposizioni peggiori rispetto a quelle contenute nel Ccnl applicabile per quella categoria, viene automaticamente integrato dal Ccnl stesso per sostituire tali clausole;
  • tra due Ccnl che si succedono nel tempo, il nuovo può prevedere modificazioni peggiorative delle condizioni del rapporto di lavoro rispetto al Ccnl previgente;
  • solo quando si tratta di diritti quesiti, come quelli riguardanti prestazioni lavorative già rese e non ancora retribuite, le nuove e peggiori condizioni contrattuali non si applicano e il lavoratore mantiene il diritto al trattamento secondo le previsioni del vecchio Ccnl.

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Pubblicato : 28 Ottobre 2022 18:12