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Truffa: cosa succede quando è aggravata?

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(@paolo-remer)
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Quando e perché il reato di truffa viene punito più severamente; come vengono tutelate le vittime deboli.

La truffa è considerata un reato lieve, minore, poco offensivo. Questo comporta che nella sua forma semplice viene scarsamente perseguita a livello penale. Lo sa bene chi ha presentato una denuncia querela per truffa e se l’è vista archiviata dal pubblico ministero, che l’ha considerata una «mera questione civilistica», cioè rilevante solo nell’ambito di una causa civile: quindi per recuperare il maltolto occorre intraprendere una strada più lunga, costosa e incerta. Con buona, anzi cattiva, pace di chi ha subito artifici o raggiri, è stato indotto in errore da qualche imbroglione ed ha perso soldi per questo.

Ma le cose cambiano parecchio quando la truffa è aggravata. Cosa succede in questi casi? Innanzitutto la pena è più severa, ma soprattutto scatta la procedibilità d’ufficio, quindi non è necessaria un’apposita querela ed è sufficiente la denuncia, che può essere sporta anche da soggetti diversi dal truffato: ad esempio, dalle forze di Polizia o dalle associazioni di tutela dei consumatori. La truffa aggravata viene perseguita, quindi, in maniera più efficace e potente. Vediamo meglio le varie ipotesi di truffa aggravata e le conseguenze penali a carico dell’autore: ci sono degli importanti benefici in favore delle vittime.

Reato di truffa: quando si configura?

Il reato di truffa si ha quando qualcuno, «con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno». Questa è la definizione base, fornita dall’articolo 640 del Codice penale. Il reato di truffa è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032. Vista l’entità bassa delle pene, non sono applicabili le misure cautelari personali (ma quelle reali, come il sequestro dell’indebito profitto, sì) e non è previsto l’arresto in flagranza.

La definizione normativa ci fa capire che per avere una truffa penalmente rilevante serve un comportamento tale da indurre in errore la vittima: deve esserci una condotta di inganno tale da far compiere atti di disposizione patrimoniale – come un contratto o un’elargizione – pregiudizievoli per chi li pone in essere e tali da far arricchire indebitamente il truffatore stesso o un altro soggetto beneficiario dei proventi.

Quindi per configurare il reato di truffa occorrono i seguenti elementi:

  • innanzitutto, che il truffatore abbia posto in essere artifizi o raggiri di qualsiasi genere e natura; gli artifizi sono manipolazioni della realtà finalizzate a far apparire vero ciò che è falso; i raggiri sono i le menzogne e proposte bugiarde (anche per omissione di circostanze rilevanti) con cui si ingenera nella vittima un falso convincimento sull’affare proposto;
  • che questi atti abbiano indotto in errore la persona offesa, facendola aderire alla proposta truffaldina; se la vittima non ci casca non c’è truffa, perché manca l’approfittamento;
  • che il truffatore abbia conseguito per effetto di tutto ciò un ingiusto profitto, altrimenti – e sempre che vi siano i due requisiti di cui sopra – la truffa si ferma a livello del tentativo (che comunque è anch’esso punito penalmente, ai sensi dell’articolo 56 del Codice penale);
  • che la vittima abbia subìto un danno patrimoniale, che a seconda dei casi potrà essere più o meno rilevante: ci sono truffe milionarie e altre di pochi euro.

Facciamo un paio di esempi sugli artifizi e raggiri rilevanti ai fini della truffa.

Un pataccaro fa credere, falsificando il certificato di provenienza o raccontando balle su come ne è venuto in possesso, che un orologio di gran marca sia autentico, mentre in realtà è taroccato; un falso guaritore promette cure miracolose ma in realtà vende sostanze innocue e inutili (se la vittima è un anziano o una persona fragile, può caderci facilmente); un rivenditore “schilometra” un’autovettura per far sembrare che sia ancora seminuova.

La truffa è consumata nel momento in cui la vittima compie l’atto di disposizione patrimoniale: ad esempio, consegna il denaro o fa un bonifico o una ricarica al truffatore.

Reato di truffa: quali aggravanti?

La truffa non è soggetta soltanto alle aggravanti specifiche previste per questo reato e contemplate nell’articolo 640 del Codice penale che lo prevede e punisce – senza dimenticare la speciale ipotesi di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche: articolo 640 bis Cod. Pen. – ma anche alle cosiddette circostanze aggravanti comuni, cioè a quelle previste per tutti i vari reati ed elencate nell’articolo 61 del Codice penale, al quale faremo spesso riferimento nel prosieguo perché le ipotesi sono numerose.

Tra le prime c’è l’aggravante della truffa ai danni dello Stato o di un altro Ente pubblico, ad esempio l’INPS; tra queste ultime, ai fini della truffa vengono in grande rilievo pratico l’aggravante della «minorata difesa» (che di recente, vista l’importanza, è diventata una aggravante speciale) e quella dell’ingente profitto. Analizziamole.

Truffa: le aggravanti speciali

Le aggravanti specifiche previste per la truffa – che comportano la pena, congiunta, della reclusione da 1 a 5 anni e della multa da 309 a 1.549 euro: molto di più della truffa base, che oltretutto prevede queste pene come alternative fra loro – sono:

  • la truffa compiuta ai danni dello Stato o di un altro Ente pubblico o dell’Unione Europea, ma se il fatto riguarda «contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee» la pena va da 2 a 7 anni di reclusione;
  • la truffa commessa «col pretesto di far esonerare qualcuno dal servizio militare» (ipotesi desueta, da quando nel 2004 è stata abolita, o per meglio dire sospesa a tempo indeterminato, la leva obbligatoria);
  • convincendo la vittima dell’esistenza di un «pericolo immaginario» o facendole credere di dover «eseguire un ordine dell’Autorità»: è grave speculare sulla paura della gente, ad esempio dicendo che a causa di una calamità bisogna sgomberare subito le case e andare via;
  • approfittando di condizioni note all’autore riconducibili alla circostanza ex art. 61, n. 5 del Codice penale, ossia la cosiddetta «minorata difesa».

Truffa aggravata per minorata difesa

L’aggravante della truffa per minorata difesa è stata inserita nell’articolo 640 del Codice penale solo nel 2009, per arginare il diffuso fenomeno di chi approfitta «di circostanze di tempo, di luogo, di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa»: è il caso delle truffe commesse in danno di persone anziane, o anche di minori – la norma parla semplicemente di età, non di età avanzata – ma anche nei confronti di tutti coloro che per qualità personali (ad esempio, per scarsa istruzione) o per il frangente particolare in cui si trovano (come chi ha appena avuto un infortunio) non sono in grado di contrastare le condotte truffaldine compiute in loro danno e dunque possono essere facili vittime di approfittamenti.

Nella truffa per minorata difesa la vittima è più debole

Anche la truffa per minorata difesa è procedibile d’ufficio – non occorre, quindi, la querela di parte, e basta invece la denuncia – ed è punita con le pene congiunte della reclusione da 1 a 5 anni e della multa da 309 a 1.549 euro che abbiamo visto nel paragrafo precedente per le altre aggravanti speciali.

Di recente la Corte di Cassazione [1] ha ritenuto che l’aggravante della minorata difesa è applicabile anche ai casi di vendite online, o comunque a distanza, di prodotti, abbonamenti e servizi, ad esempio nel caso delle frequenti truffe telefoniche compiute da alcuni operatori disonesti dei call center.

Truffa di rilevante gravità

Tra le aggravanti comuni della truffa spicca quella, prevista dall’articolo 61, numero 7, del Codice penale, dell’aver “«cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità».

Deve trattarsi di un vero e proprio danno patrimoniale, e non soltanto morale o affettivo, quindi occorre che vi sia una perdita economica. L’entità di questo danno, però, va commisurata alle concrete condizioni economiche della vittima, quindi, ad esempio, anche una somma di 10mila euro può essere di rilevante entità se è stata sottratta a un modesto operaio o pensionato ed è frutto di tutti i suoi risparmi.

Attenzione: con la riforma Cartabia della giustizia, in vigore dal 2023, la truffa con danno patrimoniale di rilevante gravità è stata resa perseguibile a querela, dunque non è più procedibile d’ufficio come avveniva in passato.

Truffa aggravata dall’abuso

L’articolo 61, numero 11 del Codice penale prevede una specifica aggravante per chi ha commesso il fatto «con abuso di autorità o di relazioni domestiche o di relazioni d’ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità».

Le ipotesi concrete in cui può ravvisarsi questa aggravante sono numerosissime: si pensi alla truffa commessa da un pubblico ufficiale, come un funzionario comunale, da un esercente professione medica o sanitaria nei confronti dei malati e dei pazienti ricoverati, o da un collega di lavoro, da un professionista incaricato di determinate opere e prestazioni, da una colf o badante, da un parente o anche da un semplice coinquilino che approfitta della familiarità con la vittima.

Anche per questa aggravante occorre la querela di parte e non basta la semplice denuncia. La querela ha termini ristretti: va sporta entro tre mesi da quando si ha avuto conoscenza del fatto illecito compiuto in proprio danno e deve contenere l’espressa richiesta di punizione del colpevole.

Truffa contrattuale

Per concludere, diamo qualche rapido cenno sulla truffa contrattuale, che non è un’aggravante ma è il tipo di truffa più insidiosa, perché bisogna capire quando il venditore si spinge oltre le normali, e innocue, vanterie sulle qualità del suo prodotto, e arriva a ingannare il compratore, come avviene spesso negli acquisti online e, talvolta, anche nelle trattative compiute in presenza fisica delle parti.

Nella truffa contrattuale il consumatore deve dimostrare che non avrebbe comprato quel bene o servizio se avesse avuto consapevolezza degli artifizi e raggiri compiuti in suo danno: una dimostrazione complicata e ardua, che spesso preclude la possibilità di essere risarciti per acquisti incauti. E così il responsabile spesso la fa franca, fermo restando che la truffa contrattuale, anche quando non costituisce reato, integra comunque un illecito civile e perciò costituisce un motivo di annullamento del contratto, diventando così fonte di rimborso del maltolto, cioè del profitto indebitamente ottenuto, e di risarcimento degli eventuali danni.

Ma quando si riesce a provare una vera e propria volontà del venditore di ingannare l’acquirente – ad esempio nascondendo i difetti del prodotto – le cose sono più semplici: chi occulta un elemento contrattuale essenziale ai fini della compravendita da concludere commette il reato di truffa, così come pone in essere raggiri dopo la stipula e in fase esecutiva, specialmente nei contratti ad esecuzione differita o periodica delle prestazioni convenute, come ad esempio un abbonamento.

 
Pubblicato : 17 Marzo 2024 15:15