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Spetta il mantenimento alla moglie che lavora part-time?

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(@angelo-greco)
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In caso di lavoro part time la donna deve dimostrare che la riduzione dell’orario di lavoro sia stata determinata dalla volontà, condivisa col marito, di dedicarsi alla gestione della casa e della famiglia.

La recente ordinanza n. 5242 del 28 febbraio 2024 della Corte di Cassazione ha trattato una questione particolarmente delicata riguardante l’assegno di mantenimento alla moglie che lavora part-time. Nella pronuncia, la Corte ha posto nuovamente l’accento sulla responsabilità individuale nel perseguire un’adeguata autonomia finanziaria: un dovere che spetta a chiunque in ragione del fatto – ha scritto la stessa Cassazione nel 2017 – il matrimonio non costituisce “un’assicurazione sulla vita”.

Secondo la magistratura infatti, non è dovuto l’assegno di mantenimento al coniuge che, pur avendo le capacità e le qualifiche necessarie, sceglie di mantenere un impiego a tempo ridotto con stipendio limitato, pur potendo dedicare più ore della giornata all’attività lavorativa.

Nel caso di specie, la richiedente era una donna laureata in Scienze Politiche nel 2012 che, nonostante i tre figli ormai maggiorenni, aveva preferito non impegnarsi a tempo pieno nella sua attività.

Premesso che ogni vicenda ha le sue particolarità e che in nessun altro campo del diritto come in quello di famiglia non si possono scrivere regole generali valevoli per tutti, si possono comunque trarre da tale pronuncia alcune indicazioni di carattere pratico.

Cosa dimostrare per ottenere il mantenimento?

Per ottenere l’assegno di divorzio non basta più solo dimostrare la sproporzione tra i redditi dei due ex coniugi. Né è sufficiente la prova della propria incapacità a mantenersi da soli. È altresì necessario che il richiedente dimostri anche che tale condizione economica non sia frutto di scelte personali che abbiano impedito un pieno impegno professionale (come nel caso della donna che, d’accordo con il marito, abbia sacrificato le proprie aspirazioni di carriera per dedicarsi al ménage domestico).

Solo la prova di un’assenza di colpe circa il proprio stato di indigenza può garantire il diritto agli alimenti.

Del resto, secondo la Cassazione, il mantenimento può essere negato non solo a chi è autosufficiente da un punto di vista economico ma anche a chi, pur versando in situazioni di difficoltà, ha una “potenzialità reddituale” che non vuole mettere a frutto. È proprio il caso della donna con un lavoro part-time che potrebbe essere esteso a full-time.

Chi lavora part-time ha diritto al mantenimento?

L’assegno di mantenimento viene erogato se il coniuge non ha capacità di mantenersi da solo. Questo, in linea almeno tendenziale, significa che se il part-time non è sufficiente a soddisfare le esigenze di una vita dignitosa in relazione al contesto socio-ambientale in cui si è inseriti, può scattare il diritto al mantenimento.

Ma come detto sopra, è necessario che il richiedente (di solito la moglie) fornisca la prova che la scelta di lavorare mezza giornata sia dettata dalla necessità di badare alla famiglia.

Secondo la Cassazione (sent. n. 27945/2023), per ottenere l’assegno divorzile non è necessario che il coniuge abbia completamente abbandonato il lavoro per dedicarsi esclusivamente alla cura dei suoi cari. Anche il semplice sacrificio parziale dell’attività lavorativa o di occasioni professionali può garantire il sostegno economico. È il caso della moglie che opta per un lavorare part time o per un lavoro meno remunerativo rispetto a un altro, per avere più tempo da dedicare nel quotidiano al coniuge, ai figli e alla casa. Rileva anche la decisione di rinunciare, per gli stessi motivi, a promozioni, a nuovi incarichi o ad avanzamenti di carriera.

Tuttavia, nel caso deciso dalla Corte nella pronuncia in commento, la scelta della moglie di un orario lavorativo ridotto era stata volontaria e non influenzata dal matrimonio o dalla successiva separazione. Difatti, la donna aveva optato per un part-time pur non essendovi prova della sua necessità di dover badare alla casa e alla famiglia, attesa l’età adulta dei figli.

In sintesi, in caso di lavoro part time la donna deve dimostrare che la riduzione dell’orario di lavoro sia stata determinata dalla volontà, condivisa col marito, di dedicarsi alla gestione della casa e della famiglia.

Per “dimostrare” si intende fornire prove concrete che la decisione di ridurre l’orario lavorativo sia stata il risultato di un accordo di coppia, finalizzato a permettere un maggiore impegno nelle attività domestiche e nell’educazione dei figli. Tale dimostrazione può avvalersi di vari elementi, quali comunicazioni scritte tra i coniugi, testimonianze di parenti o amici, o qualsiasi altro documento che possa attestare la natura congiunta della decisione.

La necessità di tale dimostrazione deriva dal desiderio di riconoscere e valorizzare il contributo non economico di chi si dedica prevalentemente alla cura della famiglia e della casa, un ruolo che storicamente non ha ricevuto il giusto riconoscimento economico e sociale. Inoltre, in caso di separazione, la parte che ha sacrificato la propria carriera per la famiglia potrebbe trovarsi in una posizione economicamente svantaggiata, rendendo cruciale l’attribuzione di un giusto valore al suo contributo non monetario.

La moglie deve adoperarsi nella ricerca di un’occupazione

Secondo la giurisprudenza, perde l’assegno divorzile la moglie che, dopo tanti anni, non dimostra di essersi adoperata nella ricerca di un’occupazione dignitosa (Trib. Campobasso, sent. del 29.01.2024).

La ex coniuge che percepisce già da tempo l’assegno di divorzio e, ancor prima, ha percepito l’assegno di mantenimento, ha il dovere di attivarsi fattivamente per migliorare la sua condizione economico-reddituale. Non si può ammettere una situazione di ingiustificata ed indefinita inerzia in tal senso, a maggior ragione se sono trascorsi ormai molti anni dalla pronuncia di divorzio e se la richiedente è in età da lavoro e priva di patologie o impedimenti a cercare una attività – quantomeno part-time – che le garantisca un’entrata mensile.

L’eredità aumenta l’assegno di mantenimento per i figli

In aggiunta, la sentenza apre una riflessione più ampia sul mantenimento dei figli. Diversamente dalla decisione presa per l’ex coniuge, la Corte ha ritenuto opportuno aumentare l’assegno di mantenimento destinato ai figli, a fronte dell’aumentata capacità economica del padre, derivante da un’eredità. Questo approccio rispecchia il principio espresso dall’art. 316-bis del Codice Civile che prevede un sistema flessibile nella determinazione del contributo di mantenimento, basato non solo sui redditi, ma anche su altre risorse economiche e sulle capacità lavorative dei genitori. Il tutto allo scopo di garantire ai figli un tenore di vita proporzionato alle possibilità economiche della famiglia, anche in caso di separazione.

 
Pubblicato : 29 Febbraio 2024 13:00