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Sono assunto part-time in un’azienda: posso fare un secondo lavoro?

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(@adriano-spagnuolo-vigorita)
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Il monte ore e lo stipendio sono troppo bassi: è lecito, per il dipendente privato, svolgere un’ulteriore attività lavorativa?

Nei tempi attuali, purtroppo, l’inflazione – col conseguente aumentare del costo della vita – fa sì che gli stipendi percepiti dalla maggior parte dei nostri Concittadini non siano sufficienti a sfamare chi li percepisce ed i rispettivi nuclei familiari.

Ad aggravare la situazione, poi, è l’ostinata riluttanza delle forze politiche ad approvare una legge che, in ossequio all’art. 36 della Costituzione – e seguendo, parallelamente, l’esempio dei paesi anglosassoni -, fissi un salario minimo orario.

Ebbene, un lavoratore a tempo parziale, per sfamare adeguatamente sé stesso ed i propri cari, può dedicarsi ad un’ulteriore attività?

Il contratto di lavoro: quali obblighi reciproci? 

Il legame indissolubile tra vita quotidiana ed ordinamento giuridico emerge vistosamente dall’analisi delle norme in materia di lavoro, contenute nel Codice Civile e nelle leggi ad esso complementari e collegate.

Rifacendosi alla realtà maggiormente diffusa all’epoca della sua entrata in vigore, ovverosia quella imprenditoriale, il Codice (v. art. 2094 c.c.) definisce, innanzitutto, la figura del prestatore – e, indirettamente, quella del datore -, identificandolo in quel soggetto che, dietro corrispettivo (la retribuzione), si obbliga a svolgere una determinata attività alle dipendenze e sotto la direzione di un’altra persona (sia essa un privato, un’azienda od una Pubblica Amministrazione).

La Carta Fondamentale, in virtù del principio di solidarietà di cui all’art. 2, contiene una serie di previsioni tese a preservare la dignità di chi va a guadagnarsi il pane: tra queste, la più pregnante è rappresentata fuor di dubbio dall’art. 36 Cost., a ove è espressamente stabilito che il soggetto in questione ha diritto ad una retribuzione che sia proporzionata tanto alla qualità, quanto alla quantità del lavoro prestato in favore d’altri, dimodoché egli, unitamente alla sua famiglia, possa vivere dignitosamente.

Leggendo in combinato disposto la statuizione testé richiamata e l’art. 2094 c.c., risulta più che agevole avvedersi che il contratto di lavoro è sinallagmatico (cioè, è a prestazioni corrispettive): infatti, se, da una parte, il lavoratore deve impegnarsi al massimo nello svolgimento della prestazione, dall’altro il soggetto «forte» è tenuto non solo a retribuirlo, ma anche a salvaguardarne l’integrità fisica e la dignità morale.

Cos’è l’obbligo di fedeltà?

Tra i doveri che gravano sul lavoratore rientra l’obbligo di fedeltà: esso trova la sua fonte nell’articolo 2105 del Codice Civile, che impone al soggetto in questione di astenersi dal trattare – anche per conto di soggetti terzi – affari in concorrenza con l’azienda ove presta servizio, nonché dal diffondere notizie riservate della stessa: esemplificando, se Fredrik fosse un pompista (comunemente detto «benzinaio») presso la stazione di servizio Alfa, giammai potrebbe impiegarsi in seno all’omologa Beta, né tantomeno riferire al titolare di quest’ultima informazioni «top secret» inerenti all’organizzazione ed ai metodi produttivi della prima.

Qualora il prestatore dovesse venir meno a tale obbligo, il datore non solo potrà applicargli una sanzione disciplinare (che può identificarsi, nei casi di maggior gravità, nel licenziamento per giusta causa) [1], ma – nella sola ipotesi di divulgazione di determinate informazioni che arrechi danno all’azienda – sarà altresì legittimato a denunziarlo ai sensi del combinato disposto degli artt. 621, 622, 623 del Codice Penale [2].

Il dipendente di un’azienda privata può fare un altro lavoro? 

Alla luce del disposto ex art. 2105 c.c., si può affermare con assoluta certezza che, qualora il lavoratore a tempo parziale presso la società Gattini sia intenzionato ad accrescere il proprio budget, ben potrà reperire un ulteriore impiego presso un’altra azienda (ad esempio, la società Cagnoni), a condizione che:

  1. l’attività di quest’ultima non sia concorrente – anche solo potenzialmente – con quella della prima (e qui ci riallacciamo all’esempio citato nel paragrafo precedente);
  2. gli orari di lavoro siano compatibili con quelli della prestazione d’origine;
  3. non sia superato, complessivamente, il limite di 48 ore lavorative alla settimana.

Sul punto, la Corte Suprema di Cassazione [3] ha stabilito che il datore di lavoro giammai potrà irrogare sanzioni al proprio dipendente che, bisognoso di una seconda entrata per assicurarsi uno stile di vita adeguato alle esigenze sue e dei propri familiari, decida di cercare e condurre una seconda occupazione al ricorrere delle tre condizioni sopra esposte.

 
Pubblicato : 15 Gennaio 2024 07:00