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Si può sostituire la ditta di lavori?

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(@angelo-greco)
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Il diritto di recesso dal contratto per la ristrutturazione è contemplato dalla legge e non richiede una motivazione.

Ipotizziamo un condominio (ma la stessa problematica potrebbe porsi anche con riferimento a un privato) che abbia commissionato delle opere di ristrutturazione a una impresa edile. Dopo pochi mesi per dall’inizio dei lavori, l’assemblea decide di recedere anticipatamente dal contratto, vuoi perché non è soddisfatta delle attività svolte, vuoi perché ha difficoltà nel recuperare le quote millesimali per il pagamento del corrispettivo. La domanda che si pone, a questo punto, è se si sia tenuti a rispettare il contratto o se si possa interrompere lo stesso in qualsiasi momento. In altri termini si può sostituire la ditta di lavori? Vediamo cosa dicono, a riguardo, la legge e la giurisprudenza.

Appalto: esiste il diritto di recesso?

L’articolo 1671 del Codice civile consente al committente di sciogliersi dal contratto di appalto in qualsiasi momento, anche se è iniziata l’esecuzione dell’opera e per qualsiasi motivo. Anzi, a ben vedere, non è neanche necessario fornire una spiegazione di tale decisione. Difatti il diritto di recesso dal contratto di appalto è un potere che la legge attribuisce al committente senza alcun vincolo, a prescindere anche dal fatto che i lavori eseguiti non presentino alcun difetto e siano “a regola d’arte”. Esso può essere esercitato anche oltre i classici 14 giorni previsti per i contratti conclusi fuori dai locali commerciali (ad esempio tramite internet o per telefono).

Il committente ha solo l’obbligo di rimborsare all’appaltatore i lavori già ultimati e le spese sostenute nonché versargli un indennizzo per il mancato guadagno.

Che fare se i lavori non sono svolti bene?

Diverso dal diritto di recesso, e a prescindere da questo, è il diritto di sciogliersi dal contratto quando le opere eseguite non corrispondono alla qualità concordata preventivamente tra le parti. In tal caso si parla di risoluzione del contratto per inadempimento.

Se il diritto di recesso di cui abbiamo parlato sopra non necessita di motivazioni, richiedendo solo di corrispondere all’appaltatore il prezzo per le opere completate, le spese sostenute e il danno da mancato guadagno, il diritto alla risoluzione per inadempimento richiede la prova del difetto di qualitànell’esecuzione dei lavori; in tal caso però non è dovuto alcun corrispettivo proprio perché c’è stata una violazione degli accordi. Anzi, come chiarito dalla Cassazione (sentenza n. 421/2024), il committente ha diritto alla restituzione degli acconti versati e il risarcimento dei danni subiti per l’inadempimento dell’appaltatore in corso d’opera. Per la Suprema corte di questi danni si può dunque tenere conto in sede di liquidazione dell’indennizzo spettante all’appaltatore, con conseguente e proporzionale riduzione.

Il principio enunciato dalla Cassazione risulta di interesse e possibile applicazione concreta nel contesto dell’ormai nutrito contenzioso in ambito superbonus. Si pensi a quei cantieri fermi, o a rilento, nei quali l’inadempimento dell’appaltatore è già conclamato e ai casi in cui il committente ha il principale interesse a ultimare quanto prima i lavori, incaricando altra impresa, per usufruire delle rimanenti detrazioni in scadenza.

L’esercizio del recesso, abbinato alla contestazione dei danni per le inadempienze dell’appaltatore, può costituire in determinati casi un’alternativa per il committente rispetto alla richiesta di risoluzione del contratto.

I danni andranno sempre contestati e provati, per contrapporli alla richiesta di indennizzo dell’appaltatore per il mancato guadagno rispetto ai lavori ineseguiti.

 
Pubblicato : 3 Settembre 2024 06:30