Si può geolocalizzare un dipendente?
Auto aziendale: il datore può controllare il percorso? Ai dipendenti spetta il diritto di accesso sui dati sulla geolocalizzazione?
Se un dipendente dovesse utilizzare un’auto aziendale, un furgoncino o un altro mezzo di trasporto di proprietà del datore di lavoro potrebbe essere controllato attraverso un GPS? Potrebbe cioè l’azienda verificare il tragitto percorso, i tempi impiegati e l’esatto adempimento della prestazione lavorativa? In altri termini, si può geolocalizzare un dipendente? E se ciò avvenisse, avrebbe questi diritto di accesso alle informazioni acquisite in tal modo? La questione trova regolamentazione nelle disposizioni di legge e nelle decisioni del Garante per la Privacy. Vediamo dunque cosa è legittimo fare e cosa no.
Si può piazzare un GPS nell’auto aziendale?
Il Jobs Act consente al datore di lavoro di mettere sotto controllo gli strumenti da questi affidati al dipendente per l’esecuzione delle sue mansioni (ad esempio: pc, tablet, cellulari, telepass, ecc.) senza bisogno del previo accordo con i sindacati o dell’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro. In tal modo l’azienda può ottenere dati e informazioni attinenti all’attività lavorativa dei dipendenti.
Questo pertanto consente al datore di piazzare un GPS nell’auto aziendale e geolocalizzare il dipendente per verificare, ad esempio, se percorra strade alternative che non hanno nulla a che vedere con la prestazione lavorativa.
Tale controllo può avvenire però solo a condizione che vengano rispettati i seguenti limiti:
- il lavoratore deve essere stato previamente informato circa le modalità d’uso degli strumenti stessi e l’effettuazione dei controlli;
- deve essere rispettata la normativa in tema di privacy che impone di utilizzare i dati solo per finalità attinenti al lavoro (sarebbe ad esempio illegittima l’acquisizione di notizie sullo stato di salute o sulle abitudini personali del lavoratore) e di conservarli per il tempo strettamente necessario ai controlli;
- i dati non devono essere divulgati;
- lo strumento che “serve” al lavoratore per adempiere la prestazione non deve essere modificatoper controllare il lavoratore (ad esempio un GPS che capti anche le conversazioni che avvengono dentro l’auto aziendale).
Quando il GPS sull’auto aziendale è legittimo?
Come anticipato, l’uso di un GPS per controllare il lavoratore è legittimo solo se viene impiegato per acquisire dati attinenti alla prestazione lavorativa o se imposto da specifiche disposizioni di legge (ad esempio: sistemi GPS per il trasporto di portavalori superiore a € 1.500.000,00). In tali casi, per la loro installazione, non è richiesto alcun accordo sindacale o alcuna autorizzazione da parte dell’Ispettorato (Circ. INL 7 novembre 2016 n. 2).
Se, invece, il sistema di geolocalizzazione dei veicoli non è direttamente preordinato all’esecuzione della prestazione, ma utilizzato per rispondere ad esigenze ulteriori di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro, è necessario sia l’accordo sindacale (o in sua assenza l’autorizzazione dell’ITL), sia la garanzia di riservatezza per i dipendenti (Provv. Garante Privacy 16 marzo 2017 n. 138; Provv. Garante Privacy 24 maggio 2017 n. 247).
Si possono vedere i dati della localizzazione dei dipendenti?
Ogni dipendente ha il diritto di prendere visione dei dati che il suo datore di lavoro raccoglie attraverso gli strumenti di controllo appena menzionati.
Di recente il Garante Privacy è intervenuto per multare una società di lettura di contatori di gas, luce e acqua con una sanzione di 20.000 euro. La ragione? Non aver dato risposta ai propri dipendenti riguardo i dati di geolocalizzazione raccolti attraverso gli smartphone aziendali.
Tre lavoratori, per assicurarsi della correttezza delle loro buste paga, avevano richiesto all’azienda di poter consultare le informazioni legate ai rimborsi chilometrici e alla retribuzione mensile oraria. Queste informazioni erano legate ai dati raccolti dal sistema di geolocalizzazione presente sugli smartphone forniti dall’azienda.
L’azienda non ha fornito ai lavoratori le informazioni richieste in modo dettagliato, limitandosi a spiegare come e perché venivano trattati tali dati. Questa mancata trasparenza ha portato i dipendenti a presentare un reclamo al Garante privacy.
Qual è stata la risposta del Garante privacy?
Dopo un’analisi, il Garante privacy ha stabilito che l’azienda aveva agito in maniera illecita. Infatti, i dati raccolti dal GPS degli smartphone aziendali rappresentano informazioni personali dei dipendenti, e come tali, i lavoratori hanno il diritto di accedervi. Pertanto, il Garante ha ordinato all’azienda di fornire ai dipendenti tutte le informazioni richieste.
Quali sono le implicazioni per le aziende e i dipendenti?
Il Garante ha ribadito che le aziende, nel caso in cui decidano di non soddisfare le richieste dei dipendenti riguardanti l’accesso ai dati, devono almeno fornire motivazioni valide per tale decisione. Allo stesso tempo, ha anche sottolineato il diritto dei dipendenti di presentare reclamo o ricorso giurisdizionale in caso di inadempienze.
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