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Si può essere condannati per maltrattamenti dopo la separazione?

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(@angelo-greco)
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Maltrattamenti in famiglia: se la coppia non vive più insieme ci può essere condanna penale?

Esiste un reato, quello di maltrattamenti in famiglia, che – come dice la parola stessa – si applica a tutti gli abusi commessi in ambito familiare. Non deve per forza trattarsi di una famiglia basata sul matrimonio, né del rapporto tra uomo e donna. Ben può scattare l’illecito anche in caso di convivenza di fatto o di vessazioni da parte di un genitore ai danni dei figli, di un fratello nei confronti dell’altro e così via.

Tornando al caso della coppia sposata, spesso ci si è chiesto se si può essere condannati per maltrattamenti dopo la separazione, ossia quando ormai marito e moglie hanno smesso di convivere. E la risposta fornita dalla giurisprudenza è stata – a determinate condizioni – affermativa. Difatti, quando ancora sussiste un legame forte tra le parti (si pensi al marito che, appena uscito di casa, è solito tornare per vedere i figli o completare il trasferimento dei propri effetti personali) è possibile configurare il reato in questione.

Sul punto è tornata, di recente, la Cassazione con la sentenza n. 35785 del 25 agosto del 2023.

In particolare, la Corte ha confermato la custodia cautelare in carcere per un uomo finito nei guai per i comportamenti tenuti ai danni della ex consorte. Irrilevante, chiariscono i giudici, il fatto che determinati episodi si siano verificati dopo che l’uomo è andato via dalla casa coniugale.

In pratica, secondo i giudici supremi si può condannare una persona per il delitto di maltrattamenti in famiglia in caso di soprusi compiuti anche in epoca successiva alla separazione di fatto, cioè dopo l’interruzione della convivenza coniugale.

Come prove sono state utilizzate le puntuali dichiarazioni della vittima, corroborate da altre fonti dichiarative nonché la copiosa documentazione delle incessanti e gravi minacce inoltrate con messaggi su WhatsApp e Signal dall’uomo alla persona offesa e, infine, una videoregistrazione.

Secondo la Cassazione «integrano il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte vessatorie nei confronti del coniuge, condotte che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione, di fatto o legale, della coppia, in quanto il coniuge resta persona della famiglia fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza». Ciò anche perché «la separazione è condizione che non elide lo status acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi di convivenza e fedeltà ma lasciando integri quelli di reciproco rispetto, collaborazione, assistenza morale e materiale».

Il che implica anche che il delitto in questione non può configurarsi dopo il divorzio.

Per quanto concerne l’applicazione della custodia cautelare in carcere, il Collegio ritiene corretto il ragionamento compiuto dal giudice del tribunale, il quale «ha desunto il pericolo di reiterazione del reato dalla lunga durata e dalla reiterazione dei comportamenti minatori, aggressivi, denigratori, umilianti posti in essere» del ricorrente all’indirizzo della moglie e dalla «datazione recente delle ultime gravi minacce documentate». Tali dettagli certificano «una personalità abitualmente adusa alla violenza e incapace di azionare i propri freni inibitori», osservano i magistrati della Cassazione, i quali condividono la scelta del giudice di prime cure di individuare «la custodia in carcere come unica misura idonea a salvaguardare l’esigenza di difesa sociale» poiché «le misure coercitive meno afflittive non precluderebbero all’uomo di ripetere la propria condotta criminosa e violenta» ai danni della moglie.

 
Pubblicato : 7 Settembre 2023 12:45