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Servitù di scarico: come funziona?

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(@consulenze)
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Il mio vicino, a seguito di ristrutturazione dei propri edifici, ha immesso acque reflue domestiche nel fosso di mia proprietà. Vorrei oppormi o, quantomeno, chiedere il rimborso per le opere di manutenzione che ciò comporta.

Ai sensi dell’art. 1043 cod. civ., «Le disposizioni contenute negli articoli precedenti per il passaggio delle acque si applicano anche se il passaggio è domandato al fine di scaricare acque sovrabbondanti che il vicino non consente di ricevere nel suo fondo. Lo scarico può essere anche domandato per acque impure, purché siano adottate le precauzioni atte a evitare qualsiasi pregiudizio o molestia».

In pratica, la servitù di scarico è un diritto reale di godimento che consente al titolare di un fondo di liberarsi delle acque sovrabbondanti del proprio fondo passando attraverso il fondo del vicino.

A tal proposito, può trattarsi di acqua potabile o non potabile, di acqua proveniente da acquedotto o da una sorgente, di acqua piovana o di acque impure, come quelle derivanti dai servizi igienici della casa, dagli impianti agricoli o industriali.

In questo senso la più recente giurisprudenza: «La servitù coattiva di scarico può essere domandata per liberare il proprio immobile sia da acque sovrabbondanti potabili o non potabili, provenienti da acquedotto o da sorgente esistente nel fondo o dallo scarico di acque piovane, sia dalle acque impure, risultanti dal funzionamento degli impianti agricoli od industriali o degli impianti e servizi igienico-sanitari degli edifici; l’art.1043 c.c., infatti, non autorizza alcuna distinzione tra acque impure ed acque luride o “nere”, intese quest’ultime come acque di scarico delle latrine, dovendosi, piuttosto, intendere il riferimento alle acque impure, contenuto nel secondo comma, come volto unicamente a stabilire che, in questo caso, la servitù coattiva è subordinata all’adozione di opportune precauzioni per evitare inconvenienti al fondo servente» (Cass., sent. n. 11840/2021).

Scopo della servitù di scarico, quindi, è consentire al proprietario di un fondo di attraversare i fondi del vicino per raggiungere idoneo luogo di scarico delle acque sovrabbondanti che, se non smaltite, danneggerebbero il proprio immobile.

È equiparata alla servitù di scarico anche quella di fognatura, che consiste nel diritto del proprietario del fondo dominante di installare la fognatura nel fondo del vicino e di eseguire l’accesso necessario alle manutenzioni.

Così la Cassazione: «La servitù di fognatura — che va equiparata al generico scarico coattivo di cui all’art. 1043 c.c. — attribuisce al proprietario del fondo dominante il diritto di provvedere all’installazione delle opere idonee allo scarico e di accedere al fondo servente per la periodica manutenzione di dette opere, salvo che il titolo preveda più ampi poteri» (Cass., sent. n. 9891/1996).

Nel caso illustrato nel quesito, sembrerebbe esserci una lesione dei diritti del proprietario del fondo servente: come appena visto, infatti, la servitù consente di attraversare la proprietà altrui ma non di inquinarla, cosa che in effetti sembra verificarsi nell’ipotesi di specie.

In altre parole, il vicino dovrebbe limitarsi ad attraversare il fondo con le tubazioni, non a sversare acque direttamente in esso, a meno che nel punto di arrivo non ci sia una fognatura o altro canale sotterraneo per la raccolta e lo scarico delle acque di rifiuto.

Nel caso di specie, quindi, si possono configurare due ipotesi:

  • se le acque terminano in una fossa (e, quindi, in una fognatura), allora è corretto parlare di servitù, ma sussistono comunque i danni causati al fondo servente, visto che l’art. 1043 cod. civ. sopra citato impone di adottare ogni precauzione al fine di non recare molestia;
  • se le acque non sfociano in una fossa o fognatura, allora si tratta di un riversamento direttamente nel fondo del vicino, cosa illecita che, peraltro, nemmeno si configura come servitù, visto che la stessa, come ricordato sopra, consiste nel passaggio delle tubazioni fino al punto di scarico fognario.

Il proprietario del fondo vicino va quindi immediatamente diffidato con formale raccomandata a/r, intimandogli di cessare dalla propria condotta lesiva e di provvedere a realizzare quanto occorre per evitare che lo scarico delle acque arrechi danno alla proprietà altrui.

È appena il caso di ricordare alcuni principi generali che si applicano a ogni tipo di servitù:

  • 1030 cod. civ.: «Il proprietario del fondo servente non è tenuto a compiere alcun atto per rendere possibile l’esercizio della servitù da parte del titolare, salvo che la legge o il titolo disponga altrimenti». Si tratta del principio solitamente espresso con il brocardo latino Servitus in facendo consistere nequit;
  • 1067, comma primo, cod. civ.: «Il proprietario del fondo dominante non può fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente»;
  • 1069 cod. civ.: «Il proprietario del fondo dominante, nel fare le opere necessarie per conservare la servitù, deve scegliere il tempo e il modo che siano per recare minore incomodo al proprietario del fondo servente. Egli deve fare le opere a sue spese, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo(3) o dalla legge. Se però le opere giovano anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi».

In mancanza di riscontro, prima di andare in giudizio occorrerà intraprendere una procedura di mediazione obbligatoria, facendo istanza a un organismo di conciliazione abilitato presente sul territorio. È necessaria l’assistenza di un avvocato.

Nel caso di esito negativo, non resterà che procedere in giudizio, nel quale non solo si potrà chiedere la cessazione della molestia, il risarcimento e la realizzazione di quanto necessario per evitare ulteriori danni, ma anche un’azione volta ad accertare o negare la servitù (actio negatoria servitutis ex art. 949 c.c.)

E infatti, bisognerebbe anche considerare la natura della presunta servitù. Secondo il sopracitato art. 1043 cod. civ., lo scarico coattivo può essere costituito, anche contro la volontà del titolare del fondo servente, purché:

  • l’acqua oggetto di scolo sia utilizzata per i bisogni della vita, per usi agrari o industriali (è escluso il passaggio delle acque per scopi meramente voluttuari);
  • deve trattarsi di acque sovrabbondanti che il vicino non consente di ricevere;
  • nella realizzazione degli scarichi devono essere adottate tutte le precauzioni necessarie a non arrecare pregiudizio al fondo servente, e a realizzare la massima utilità del fondo dominante.

Secondo la giurisprudenza, «I presupposti della costituzione di una servitù di scarico coattivo ex art. 1043 c.c. non differiscono, compatibilmente con il diverso contenuto della servitù, da quelli contemplati dall’art. 1037 c.c. per la costituzione della servitù di acquedotto coattivo, applicabili in virtù del richiamo operato dalla prima di dette norme alle disposizioni degli articoli precedenti per il passaggio delle acque, occorrendo, pertanto, come per l’acquedotto coattivo, che il passaggio richiesto — sempre che il proprietario del fondo non abbia altre alternative per liberarsi dalle acque di scarico, anche con la creazione di una servitù volontaria — sia il più conveniente ed il meno pregiudizievole per il fondo servente, avuto riguardo alle condizioni dei fondi vicini, al pendio ed alle altre condizioni per la condotta, per il corso e lo sbocco delle acque (art. 1037 c.c.) e riferendosi il criterio del minor pregiudizio esclusivamente al fondo servente e quello della maggior convenienza anche al fondo dominante, il quale non deve essere assoggettato ad eccessivo disagio o dispendio» (Cass., sent. n. 2948/1994).

La servitù di scarico coattiva si costituisce con contratto, se le parti convengono di adempiere all’obbligo previsto dalla legge, oppure con sentenza del giudice.

Quando si costituisce una servitù di scarico, il proprietario del fondo dominante deve corrispondere al proprietario del fondo servente una indennità. Si tratta di una somma di denaro che ha la funzione di risarcire il proprietario del fondo, gravato dalla servitù, dei danni provocati dal disturbo al godimento del fondo e dalla perdita di valore del fondo per l’attraversamento delle tubature, che nel futuro potrebbero precludere lavori incompatibili.

Ai fini del calcolo dell’importo dell’indennità, si tiene conto dei seguenti fattori:

  1. il danno effettivo causato dal passaggio;
  2. il deprezzamento che il fondo servente subisce a causa del detto passaggio.

Quando la servitù coattiva è costituita in sede giudiziale, e le parti non convengono sul valore dell’indennità, questa viene stabilita dal giudice.

Nel caso di specie, qualora non ricorrano queste condizioni, ci si potrà rifiutare di ricevere le acque del vicino. Se, invece, dovesse esserci servitù coattiva, allora spetterebbe l’indennità, oltre al risarcimento per i danni finora causati.

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avvocato Mariano Acquaviva

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Pubblicato : 8 Ottobre 2022 12:00