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Separazione e divorzio: il marito è discriminato dalla legge?

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(@mariano-acquaviva)
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La legge prevede condizioni sfavorevoli all’uomo che intende separarsi dalla moglie? Perché i figli vengono quasi sempre affidati alla madre?

Si ritiene comunemente che la legge “maltratti” gli uomini più delle donne, almeno quando si parla di separazione e di divorzio. Infatti, a seguito della fine dell’unione matrimoniale, è (quasi) sempre il marito a subire le conseguenze più pesanti, come ad esempio la perdita della casa familiare e l’obbligo di pagare un assegno mensile, spesso anche di rilevante entità. È in questo contesto che si pone il seguente quesito: nel caso di separazione e divorzio, il marito è discriminato dalla legge?

In realtà, la legge non fa distinzioni di sesso, con la conseguenza che marito e moglie, almeno formalmente, sono trattati alla stessa maniera. Ciononostante, la giurisprudenza ha elaborato alcuni criteri che, una volta applicati, finiscono quasi inevitabilmente per favorire la moglie rispetto al marito. Si pensi, ad esempio, all’affidamento dei figli minorenni e all’assegnazione della casa familiare, entrambi quasi sempre favorevoli alla donna.

La situazione per i mariti è diventata talmente insostenibile da far parlare di suicidio silenzioso dei papà, sempre più oppressi da condizioni di separazione inaccettabili. Ma è proprio così? Approfondiamo la questione.

Affidamento condiviso dei figli: come funziona?

L’affidamento condiviso consente ai figli di genitori separati di frequentare la madre e il padre in maniera tendenzialmente paritaria.

L’affido condiviso rappresenta la regola nei casi di separazione; si può ricorrere all’affidamento esclusivo solo nelle ipotesi in cui uno dei genitori sia manifestamente inadeguato a stare con la prole.

Anche quando condiviso, l’affido prevede quasi sempre un “genitore privilegiato” rispetto all’altro: si tratta di colui che è destinato a trascorrere maggior tempo con la prole in quanto continuerà a vivere con essa all’interno della casa familiare.

Si definisce “collocatario” il genitore (solitamente, la madre) con cui i figli continueranno a vivere, stabilendo la residenza nella medesima dimora.

Il genitore non collocatario, invece, potrà tenere con sé i figli secondo un calendario prestabilito, il quale deve garantirgli la possibilità di trascorrere un adeguato periodo di tempo con la prole.

Insomma: affido condiviso non significa che i genitori divideranno il tempo con i figli esattamente a metà (il che sarebbe destabilizzante anche per la prole), ma solo che entrambi mantengono il diritto di prendere parte attiva alla vita dei minori, senza che alcuno possa dirsi escluso.

L’affidamento dei figli sfavorisce i mariti?

Come illustrato nel precedente paragrafo, a seguito della separazione i figli minorenni conservano il diritto di frequentare entrambi i genitori.

Poiché però la fine dell’unione rende praticamente impossibile dividersi equamente il tempo da trascorrere con la prole, il giudice, all’atto della separazione, deve individuare il genitore collocatario, cioè quello presso cui i figli, continuando a convivere, stabiliranno la residenza.

La scelta premia quasi sempre la madre a discapito del padre, in quanto si ritiene che solo la mamma possa prendersi cura in maniera ottimale dei figli minorenni, soprattutto se in tenera età.

I criteri stabiliti per l’affidamento dei figli sfavoriscono i mariti, i quali quasi sempre devono accontentarsi di trascorrere con la prole solamente un periodo di tempo residuale rispetto a quello concesso alle mogli.

Per ulteriori approfondimenti, si legga l’articolo dal titolo Separazione: i figli vanno affidati sempre alla madre?

Perché la casa viene sempre assegnata alla moglie?

Perché, a seguito della separazione o del divorzio, la casa familiare viene quasi sempre assegnata alla moglie, anche quando è di proprietà del marito?

Ciò avviene perché la legge stabilisce che l’assegnazione della casa spetti al genitore collocatario della prole; poiché quest’ultimo è quasi sempre la madre, la logica conclusione è che il giudice assegna l’abitazione alla moglie affinché possa continuare ad abitarvi insieme ai figli.

Insomma: la casa familiare viene spesso assegnata alla moglie perché è a lei che sono affidati i figli in via privilegiata.

Perché il marito deve sempre mantenere la moglie?

A seguito della separazione, il coniuge economicamente più debole ha diritto a ricevere un assegno mensile a titolo di mantenimento da parte dell’altro.

Poiché spesso è la moglie a percepire un reddito personale inferiore, a costei spetta il mantenimento da parte del marito, anche qualora questi non sia titolare di una posizione molto migliore.

Per la legge, infatti, la disparità economica tra i coniugi giustifica di per sé l’attribuzione del mantenimento, in modo da sopperire allo squilibrio verificatosi a seguito della separazione.

Ma non solo: alla moglie a cui siano stati affidati i figli in via privilegiata spetta anche il mantenimento a favore della prole.

Separazione e divorzio: il marito è realmente discriminato?

Alla luce di quanto detto sinora, possiamo affermare che, in tema di separazione e divorzio, la legge non prevede una normativa discriminatoria a sfavore del marito.

Tuttavia, il ricorrere di condizioni naturali (la necessità della vicinanza materna ai figli piccoli) e sociali (la maggiore difficoltà per una donna di essere retribuita adeguatamente rispetto all’uomo) in qualche modo favoriscono la moglie, almeno con riferimento all’affido dei figli, presupposto indispensabile per i conseguenti diritti all’assegnazione della casa e al mantenimento per la prole.

 
Pubblicato : 4 Febbraio 2024 09:15