Se vengo definito pazzo, come mi tutelo?
Se una persona viene definita pazza o insana di mente, come si può tutelare? Deve far accertare dal giudice il suo ottimo stato di salute mentale?
La legge italiana considera il cittadino sano di mente fino a quando non sia giudizialmente dimostrato il contrario.
Questo vuol dire che fino a quando una persona, a seguito di un processo con sentenza diventata definitiva, non sia dichiarata interdetta o non venga inabilitata, per la legge è perfettamente sana di mente e capace di intendere e volere.
Fino a quel momento, quindi, quella persona può compiere tutti gli atti della vita ordinaria e può anche disporre in ogni modo lecito dei propri beni e delle proprie risorse economiche.
Pertanto, se qualcuno mette in giro la voce che una persona sia pazza o insana di mente o instabile dal punto di vista psicologico, questo non produce alcun effetto giuridico.
Occorre invece che le persone autorizzate dalla legge (parenti entro il quarto grado affini entro il secondo grado, pubblico ministero, coniuge e lo stesso interessato) facciano partire il processo per interdire o inabilitare la persona in questione.
Se la perizia medica svolta nel corso del processo accerterà che la persona in questione soffre di una patologia che non la rende, in tutto o in parte, capace di intendere o volere, allora quella persona sarà legalmente interdetta o inabilitata (e gli sarà nominato un tutore o curatore che lo assista nel compimento degli atti quotidiani e degli atti giuridici).
La persona che invece, essendo perfettamente sana, viene additata da qualcuno come malata di mente, può tutelarsi querelando per diffamazione il responsabile chiedendo anche, in sede penale o civile, i danni che avrà sopportato a seguito della propagazione di questa falsa notizia.
Potrà in questo modo tutelare la sua reputazione ed il suo onore rispetto a notizie che ledono queste sue prerogative e che possono anche causarle danni per la sua vita di relazione e per i suo legittimi affari.
Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Angelo Forte
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