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Rifiutare l’offerta di un full-time: pericoli per il lavoratore part-time?

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(@angelo-greco)
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Rifiutare un passaggio da part-time a full-time può portare al licenziamento. Tuttavia, l’azienda deve dimostrare validi motivi organizzativi ed economici.

Molti lavoratori in regime di part-time potrebbero trovarsi di fronte alla proposta di passare a un contratto a tempo pieno. Ma cosa succede se si rifiuta questa proposta? È possibile farlo o si rischia un licenziamento? Una recente sentenza della Cassazione ha chiarito alcune questioni cruciali al riguardo. Ecco cosa devi sapere sui pericoli per il lavoratore part-time che rifiuta l’offerta di un full time.

Un dipendente part-time può essere licenziato per aver rifiutato un full-time?

Sì, secondo la sezione lavoro della Cassazione, un dipendente part-time che rifiuta la trasformazione del proprio contratto in full-time può essere licenziato (ordinanza 29337, sezione Lavoro del 23 ottobre 2023).

Questa decisione, tuttavia, non può automatica. La ragione è semplice.

Quali sono le responsabilità dell’impresa?

Il licenziamento non scatta come punizione per il dipendente che rifiuta il full-time. Se così fosse si tratterebbe di un licenziamento disciplinare e sarebbe necessario attivare la procedura di previa contestazione.

Si tratta al contrario di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo ossia per ragioni inerenti all’organizzazione dell’azienda. Quindi il datore di lavoro deve dimostrare le esigenze che lo portano a dover rinunciare al lavoratore perché non può collocarlo in altre posizioni compatibili con l’orario ridotto.

Il rifiuto del lavoratore a tempo parziale di passare a un rapporto di lavoro full time può giustificare il licenziamento individuale se la trasformazione oraria è l’unica soluzione possibile per l’azienda.

L’impresa ha l’onere di dimostrare che la proposta di passaggio a tempo pieno era l’unico mezzo organizzativo per rispondere al nuovo scenario economico dell’azienda. Non basta, quindi, il semplice rifiuto della proposta: è necessaria una motivazione concreta manifestata dal datore di lavoro.

Qual è il contesto della recente sentenza della Cassazione?

Il caso riguardava una dipendente part-time che, dopo aver formato un nuovo impiegato full-time, aveva rifiutato il passaggio a tempo pieno. Dopo il suo licenziamento, ha impugnato la decisione. Sebbene inizialmente il tribunale avesse respinto le sue rivendicazioni, la Corte d’Appello ha successivamente dato ragione alla dipendente.

La Corte d’Appello ha ritenuto che l’azienda non avesse fornito prove sufficienti delle sue ragioni organizzative ed economiche. Inoltre, ha sottolineato che il licenziamento potrebbe avere avuto motivazioni ritorsive legate al rifiuto della dipendente.

La Cassazione ha accolto il ricorso dell’azienda, sottolineando che il rifiuto del passaggio a full-time è solo una parte delle prove che l’impresa deve fornire. Non basta dimostrare l’incremento delle ore lavorative, ma è fondamentale illustrare l’impossibilità di utilizzare il lavoratore in modalità diverse e le ragioni economiche che motivano tale scelta.

Quando può essere considerato ritorsivo un licenziamento?

Affinché un licenziamento sia considerato ritorsivo, l’intenzione di punire il lavoratore deve essere l’unico motivo determinante. Questo significa che, se ci sono altre ragioni valide per il licenziamento (come appunto un diverso assetto aziendale), non si può ritenere ritorsivo il licenziamento del dipendente part-time che rifiuta il full-time.

 
Pubblicato : 24 Ottobre 2023 10:30