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Reintegra del lavoratore licenziato: entro quanto tempo?

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(@mariano-acquaviva)
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Qual è la differenza tra reintegrazione piena e attenuata? Cos’è il diritto di opzione alle 15 mensilità alternative?

Il datore può licenziare il proprio dipendente solo al ricorrere di giustificati motivi che legittimano l’adozione della massima sanzione disciplinare. È il caso, ad esempio, del lavoratore assenteista di professione oppure del dipendente che dimostra costantemente uno scarso rendimento. Se invece il licenziamento è immotivato o ingiustificato, allora il lavoratore può ricorrere al giudice per ottenerne l’annullamento. In tale contesto si pone il seguente quesito: entro quanto tempo va reintegrato il lavoratore licenziato illegittimamente?

Come diremo, infatti, il datore può essere condannato dal giudice non solo a pagare le retribuzioni non versate a causa dell’illegittimo allontanamento del proprio dipendente ma anche alla sua reintegrazione, cioè alla restituzione del posto di lavoro di cui era stato illegittimamente privato. Tale “rientro” in azienda entro quanto tempo deve avvenire? Vediamo cosa dicono la legge e la giurisprudenza.

Licenziamento: cos’è la reintegrazione?

La reintegrazione (o reintegra) consiste nella restituzione del posto di lavoro di cui il dipendente è stato ingiustamente privato in ragione di una sanzione disciplinare illegale.

La reintegrazione è un diritto e non un obbligo: ciò significa che il dipendente che non intende più lavorare con il datore che l’ha illegittimamente licenziato può chiedere di ricevere, in luogo della reintegra, un’indennità pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto.

Qual è la differenza tra reintegrazione piena e attenuata?

La reintegrazione è piena in tutti i casi di nullità del licenziamento perché discriminatorio, comminato in costanza di matrimonio o in violazione delle tutele previste in materia di maternità o paternità, perché intimato in forma orale nonché negli altri casi previsti dalla legge.

La reintegrazione piena restituisce al lavoratore il posto di lavoro e gli conferisce il diritto al pagamento, da parte del datore di lavoro, di tutte le retribuzioni che egli avrebbe percepito se non fosse mai stato licenziato, dalla data del recesso fino alla data di effettiva reintegra, oltre al pagamento dei contributi sociali.

Si parla invece di reintegrazione attenuata nelle ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo illegittimo per insussistenza del fatto contestato o perché il fatto rientra in una delle condotte punibili con sanzione conservativa (multa, sospensione, ecc.) sulla base del Ccnl applicabile, nonché nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quando il fatto è manifestamente infondato.

La reintegrazione attenuata prevede il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di tutte le retribuzioni che gli sarebbero spettate dalla data di licenziamento fino a quella di effettiva reintegra, ma con un tetto massimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.

Se il processo relativo all’impugnazione del licenziamento dura 24 mesi, il lavoratore potrà ottenere un massimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.

Dipendente licenziato: entro quanto tempo va reintegrato?

Secondo la legge [1], a seguito dell’ordine di reintegrazione il dipendente deve riprendere servizio entro 30 giorni dall’invito del datore, pena la risoluzione del rapporto di lavoro.

In questo senso anche la Corte di Cassazione [2], in caso di reintegra giudiziale, l’invito a riprendere servizio può essere inviato dal datore anche prima del limite massimo dei 30 giorni imposto dalla legge, con la conseguenza che il rapporto si considera concluso irrevocabilmente al trentesimo giorno dalla notifica dell’invito.

In ipotesi di licenziamento dichiarato illegittimo, il datore di lavoro può indicare per la ripresa del servizio del lavoratore anche una data anteriore allo scadere dei 30 giorni, limite massimo previsto dallo Statuto dei Lavoratori

La Suprema Corte rileva che, in caso di reintegra, nell’ipotesi in cui non sia stato esercitato tempestivamente il diritto di opzione alle 15 mensilità alternative ovvero il lavoratore non abbia ripreso servizio entro 30 giorni dal ricevimento del formale invito del datore di lavoro, il rapporto si intende risolto di diritto.

Ciò significa che il datore di lavoro non ha l’obbligo di fissare al lavoratore il termine di 30 giorni dal ricevimento dell’invito per la ripresa del servizio, dal momento che la norma si limita a stabilire che la produzione dell’effetto della risoluzione di diritto del rapporto è fissata al trentesimo giorno successivo al ricevimento dell’invito, ove il lavoratore non abbia esercitato il diritto di opzione.

Secondo la Corte di Cassazione, quindi, il datore di lavoro può indicare per la ripresa del servizio anche una data anteriore allo scadere dei 30 giorni ma, in tal caso, il rapporto di lavoro sarà risolto di diritto solo allo scadere del trentesimo giorno dal ricevimento di detto invito.

 
Pubblicato : 15 Febbraio 2024 17:00