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Regolarizzare lavoratori in nero: quando è reato?

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(@mariano-acquaviva)
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In cosa consiste il lavoro sommerso o irregolare? Cosa rischia il datore che sfrutta i propri dipendenti? Quando scatta il reato di estorsione?

Si definisce “lavoro in nero” l’attività, alle dipendenze di un’altra persona, che non è stata segnalata allo Stato, con la conseguenza che il lavoratore non può godere delle garanzie e dei privilegi previsti dalla legge, come le ferie retribuite, la malattia, i contributi, il trattamento di fine rapporto, ecc. Ciò premesso, può sembrare un paradosso ma regolarizzare lavoratori in nero può essere reato. Quando? A dirlo è stata la Corte di Cassazione. Analizziamo più nel dettaglio la questione.

Che cos’è il lavoro in nero?

Come anticipato, il lavoro in nero (o sommerso) è il rapporto subordinato non dichiarato allo Stato.

Secondo la legge, infatti, ogni rapporto di lavoro necessita di un contratto che deve essere comunicato per via telematica sul portale Unilav, almeno 24 ore prima dell’inizio dell’attività.

In questo modo, si pone a conoscenza l’Ispettorato del lavoro, l’Inps e l’Inail dell’inizio di un rapporto subordinato, con l’obbligo da parte del datore di lavoro al versamento dei contribuiti e delle relative assicurazioni.

È quindi evidente come da tale condizione di irregolarità derivano numerosi svantaggi per il lavoratore, il quale è praticamente sfornito di ogni tutela: ferie, malattia, tredicesima, straordinaria, ecc.

Il lavoro sommerso rappresenta altresì un danno per le casse dell’erario, alle quali non giungono le tasse che datore e dipendente dovrebbero versare.

Il lavoro in nero è illegale?

Il lavoro in nero è ovviamente illegale.

Mentre però a carico del datore sono previste pesanti sanzioni amministrative (pagamento fino a un massimo di 43.200 euro), il lavoratore non è soggetto ad alcuna multa, salvo che, nel frattempo, non abbia beneficiato di misure sociali ed economiche previste per inoccupati e disoccupati, o comunque per le persone che non superano una certa soglia di reddito.

Carlo, mentre percepiva la disoccupazione, svolgeva un lavoro in nero. Per lui sono previste sanzioni come la perdita del beneficio e la restituzione di quanto illecitamente percepito.

Insomma: lavorare in nero alle dipendenze di un datore non costituisce di per sé un illecito per il subordinato. Le sanzioni scattano nel momento in cui ci si avvantaggia della presunta condizione di disoccupazione percependo assegni, sussidi e altro.

Il lavoro in nero è reato?

Il lavoro in nero non costituisce, di per sé, un illecito penale.

Può tuttavia scattare il reato di sfruttamento del lavoro (conosciuto anche come “caporalato”) se il datore, approfittando del loro stato di bisogno, sottopone i dipendenti a trattamenti iniqui e illegali, ben lontani dalle tutele stabilite dall’ordinamento giuridico.

Per la precisione, secondo la legge c’è sfruttamento del lavoro penalmente rilevante quando, oltre allo stato di bisogno dei lavoratori, sussiste almeno una delle seguenti condizioni:

  1. la ripetuta corresponsione di retribuzioni nettamente inferiori rispetto a quelle previste dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali, o comunque sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
  2. la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, all’aspettativa obbligatoria e alle ferie;
  3. la violazione delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
  4. la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

Come vedremo, c’è sfruttamento del lavoro non solo quando questo è irregolare ma anche nelle ipotesi in cui esista un regolare contratto che, però, non viene rispettato.

È considerato caporalato anche quando il datore di lavoro obbliga i suoi lavoratori a passare da un contratto full-time a uno part-time ma continuando a farli lavorare a tempo pieno con una paga ridotta alla metà, approfittando così del loro stato di bisogno.

Regolarizzare lavoratori in nero: può essere reato?

Secondo la Corte di Cassazione [2], imporre ai dipendenti condizioni lavorative peggiori dietro la minaccia di licenziamento costituisce il reato di estorsione, punito dalla legge con la reclusione fino a dieci anni.

Perché si abbia il reato, però, occorre che il dipendente sia già stato formalmente assunto e che, quindi, la minaccia prospettata sia quella di perdere l’impiego.

Al contrario, non sussiste alcuna estorsione se la stessa minaccia è rivolta a chi non è ancora (formalmente) dipendente.

In altre parole, l’accettazione delle condizioni inique imposte dal datore, con l’alternativa della mancata instaurazione del rapporto di lavoro, non costituisce condotta penalmente perseguibile.

Insomma: c’è reato di estorsione solamente se si cerca di imporre condizioni sfavorevoli a chi è già stato assunto, mentre se si intende fare la stessa cosa un lavoratore in nero non costituisce alcun illecito.

In questo caso, infatti, manca il requisito dell’altrui danno in ragione della preesistente condizione di disoccupazione del lavoratore, rispetto alla quale il conseguimento di un’opportunità di impiego rappresenta un dato patrimonialmente (comunque) positivo.

La regolarizzazione del lavoratore in nero costituisce reato quando si tratta di una mera formalità che, però, non comporta un miglioramento delle condizioni del lavoratore sfruttato: se, infatti, sussistono i requisiti del caporalato di cui al precedente paragrafo, il datore risponderà del crimine di sfruttamento del lavoro anche se ha formalmente assunto il proprio dipendente.

Carlo, dopo anni di lavoro in nero, viene assunto con contratto part time. In realtà, il datore pretende che lavori nove ore al giorno e che parte dello stipendio accreditato gli venga restituito, così come ferie, malattie, straordinari e tredicesima, i quali quindi vengono solo formalmente corrisposti.

In una condizione del genere, può ugualmente scattare il reato di caporalato, se il datore sfrutta lo stato di bisogno del proprio dipendente.

 
Pubblicato : 18 Agosto 2023 12:00