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Quanto costa fare causa al datore di lavoro?

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(@angelo-greco)
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Contributo unificato e onorario dell’avvocato per le vertenze di lavoro: quando è possibile recuperare le spese.

Si pensa spesso che fare causa al proprio datore di lavoro sia un suicidio. Continuare a lavorare nell’azienda di chi hai “denunciato” può voler dire affrontare ritorsioni, dispetti e mobbing di tutti i tipi. Proprio per questo, per superare il tradizionale “timore reverenziale” che ogni dipendente ha nei confronti del suo capo, la legge consente al primo di agire in giudizio anche dopo che il rapporto di lavoro è cessato. E non importa se sono passati, nel frattempo, molti anni.

Il secondo ostacolo però è di tipo economico. Quanto costa fare causa al datore di lavoro? Esistono agevolazioni, esenzioni, bonus? Chi lo paga l’avvocato se l’azienda dovesse perdere il processo? Cerchiamo di fare chiarezza sul punto.

In questo articolo analizzeremo innanzitutto i termini per fare causa al datore di lavoro per poi soffermarci sull’ammontare delle spese legali. Ma procediamo con ordine.

Quanto tempo c’è per fare causa al datore di lavoro?

Un comune dipendente, con contratto di lavoro subordinato che non svolga funzioni dirigenziali, può agire contro l’azienda entro cinque anni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Lo può fare, ad esempio, per recuperare gli stipendi che non gli sono mai stati pagati, per accertare straordinari non conteggiati in busta paga, per chiedere differenze retributive derivanti da un inquadramento contrattuale non corretto, per ottenere il riconoscimento delle mansioni effettivamente svolte e così via.

Così, ad esempio, chi inizialmente ha svolto il lavoro in nero e solo dopo qualche anno è stato assunto, può agire contro l’azienda entro cinque anni dalla risoluzione del contratto per ottenere la regolarizzazione del rapporto di lavoro sin dal primo giorno in cui ha iniziato a lavorare.

Il termine si raddoppia e passa quindi a dieci anni quando si intende contestare un licenziamento illegittimo, la mancata fruizione delle ferie, il risarcimento per mobbing, demansionamento o altri danni alla salute psicofisica.

Come detto, tali termini iniziano a decorrere dal giorno delle dimissioni o del licenziamento anche se la condotta illecita è risalente nel tempo.

In questo non può che notarsi un regime di sfavore nei confronti del datore di lavoro che, dopo tanti anni, potrebbe aver perso le prove a proprio favore.

Quanto costa fare una vertenza di lavoro?

Quando si apre una contestazione nei confronti del proprio datore di lavoro non si passa subito alle “maniere forti”: non si fa cioè ricorso al giudice senza prima aver tentato una soluzione pacifica o quantomeno diplomatica.

La prima cosa da fare è dunque comunicare per iscritto le proprie contestazioni. La lettera di diffidapuò essere scritta dallo stesso interessato, dal suo avvocato, il commercialista, il consulente del lavoro o un rappresentante sindacale. L’avvocato pretenderà un pagamento variabile dai 100 ai 300 euro. La sigla sindacale richiede invece, almeno di norma, il tesseramento.

Le tariffe professionali sono ormai state liberalizzate e tutto è rimesso alla libera trattativa tra le parti.

La vertenza fuori dalle aule di giustizia si può anche spingere innanzi all’Ispettorato Territoriale del Lavoro al fine di tentare una conciliazione. Anche in questa sede il lavoratore può farsi rappresentare dall’avvocato. L’onorario potrà variare in base al tempo speso e alle somme in ballo. Così, ad esempio, un dipendente che debba recuperare solo cinquemila euro potrebbe essere tenuto a pagare il 10% al legale che lo ha rappresentato in sede conciliativa.

Quanto costa fare causa al datore di lavoro?

Quando invece si passa in tribunale i costi aumentano.

C’è innanzitutto da pagare il contributo unificato, ossia la tassa di accesso alla giustizia.

La legge prevede l’esenzione totale dalle imposte per chi ha un reddito non superiore al triplo dell’importo per l’ammissione al Gratuito patrocinio, ossia 38.514,03 euro. Questi quindi non dovrà corrispondere alcunché all’avvocato.

In tutti gli altri casi, sia che si agisca con una regolare causa che con una richiesta di decreto ingiuntivo, si deve pagare un contributo unificato pari alla metà di quanto normalmente si paga per le altre cause. L’importo varia in base all’importo fatto valere. In particolare:

VALORE DELLA CAUSA
CONTRIBUTO
Valore fino a € 1.100,00 € 21,50
Valore superiore a € 1.100,00 e fino a € 5.200,00 € 49,00
Valore superiore a € 5.200,00 e fino a € 26.000,00 € 118,50
Valore superiore a € 26.000,00 e fino a € 52.000,00 € 259,00
Valore superiore a € 52.000,00 e fino a € 260.000,00 € 379,50
Valore superiore a € 260.000,00 e fino a € 520.000,00 € 607,00
Valore superiore a € 520.000,00 € 843,00

A tali somme va ovviamente aggiunta la parcella dell’avvocato. Anche qui vale la libera trattativa tra le parti. L’avvocato è libero di determinare autonomamente l’onorario, con il solo obbligo di fornire preventivamente un preventivo scritto.

Di norma l’onorario non è mai inferiore a 1.500 euro e può arrivare anche a 20.000 euro quando la somma in contestazione supera 200.000 euro.

Ma chi paga le spese legali se l’azienda perde? Le spese legali vanno sempre anticipate dalla parte che agisce. Però, con la sentenza finale, il giudice condanna la parte soccombente al rimborso dei costi del giudizio. Rimborso che tiene conto di tutte le spese vive e della parcella dell’avvocato, quest’ultima però quantificata secondo criteri predefiniti da un decreto ministeriale del 2014 (che quindi prescindono dagli accordi tra le parti).

Quanto costa fare appello?

E in secondo grado? I rapporti tra avvocato e cliente non mutano: anche in questo caso tutto si basa sul libero accordo.

Il contributo unificato viene di nuovo determinato sulla base di scaglioni. Eccoli.

VALORE DELLA CAUSA
CONTRIBUTO
Valore fino a € 1.100,00 € 32,25
Valore superiore a € 1.100,00 e fino a € 5.200,00 € 73,50
Valore superiore a € 5.200,00 e fino a € 26.000,00 € 177,75
Valore superiore a € 26.000,00 e fino a € 52.000,00 € 388,50
Valore superiore a € 52.000,00 e fino a € 260.000,00 € 569,25
Valore superiore a € 260.000,00 e fino a € 520.000,00 € 910,50
Valore superiore a € 520.000,00 € 1.264,50

Quanto costa un ricorso in Cassazione per una casa di lavoro?

Per un ricorso in Cassazione l’avvocato chiede sempre di più, anche se il suo lavoro in udienza è notevolmente ridotto (di solito si limita a una sola udienza). Ma l’impegno professionale è superiore.

Ecco invece la tabella del contributo unificato.

VALORE DELLA CAUSA
CONTRIBUTO
Valore fino a € 1.100,00 € 43
Valore superiore a € 1.100,00 e fino a € 5.200,00 € 98,00
Valore superiore a € 5.200,00 e fino a € 26.000,00 € 237,00
Valore superiore a € 26.000,00 e fino a € 52.000,00 € 518,00
Valore superiore a € 52.000,00 e fino a € 260.000,00 € 759,00
Valore superiore a € 260.000,00 e fino a € 520.000,00 € 1.214,00
Valore superiore a € 520.000,00 € 1.686,00
 
Pubblicato : 13 Ottobre 2023 09:00