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Quando si possono licenziare i dipendenti?

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(@paolo-remer)
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In quali casi e per quali motivi il datore di lavoro può legittimamente recedere dal rapporto di lavoro instaurato: come deve comunicare la sua decisione al lavoratore e cosa può fare quest’ultimo per opporsi.

In tempi di estrema precarietà come quelli che stiamo vivendo, il lavoro non è più una certezza assoluta, e il rapporto può interrompersi per varie ragioni: spesso ciò avviene con un’iniziativa, anche improvvisa, del datore di lavoro, che intima il licenziamento, talvolta anche a distanza, con un’arida comunicazione per lettera o addirittura tramite e-mail o con un messaggio su WhatsApp. Ma quando si possono licenziare i dipendenti? La legge, nel tentativo di tutelare i prestatori di lavoro, subordina la possibilità di adottare il licenziamento al verificarsi di determinate condizioni. Vediamo quali sono queste ipotesi.

Contratto di lavoro: come funziona

Il contratto di lavoro prevede l’impegno del lavoratore subordinato a prestare la propria attività – alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro, ed a fronte del pagamento della retribuzione prevista. Il contratto di lavoro può essere a tempo indeterminato, cioè senza un vincolo di durata, e questa tipologia si differenzia dal contratto a tempo determinato, o a termine, nel quale la scadenza è prestabilita sin dall’inizio, salve eventuali proroghe da concordare, ma sempre entro un periodo massimo da non superare.

Il contratto di lavoro deve essere stipulato per iscritto, in un documento contenente tutte le informazioni necessarie per inquadrare il rapporto: mansioni richieste al lavoratore, livello e qualifica in base alle previsioni del contratto collettivo nazionale vigente in quel comparto, data di inizio, importo della retribuzione, luogo ed orari di lavoro, giorni di ferie spettanti e termini di preavviso in caso di recesso.

Recesso dal contratto di lavoro

Il recesso è l’atto con il quale una delle due parti – quindi il datore di lavoro o il lavoratore – comunica all’altra di voler porre fine al contratto di lavoro. Il dipendente può sempre dare le proprie dimissioni; invece, se è il datore a prendere la decisione di voler recedere dal contratto di lavoro, deve intimare il licenziamento per iscritto (quello orale è nullo) in presenza di una delle specifiche ragioni che fra poco esamineremo, e deve concedere il periodo di preavviso previsto dal contratto, salvo il caso di licenziamento in tronco, che può avvenire per giusta causa, come vedremo meglio nel paragrafo successivo.

Intanto è bene chiarire che il lavoratore ha il diritto di recedere immediatamente dal rapporto, senza obbligo di dare il preavviso, in caso di grave inadempimento del datore di lavoro, per fatti o comportamenti che non consentono la prosecuzione del rapporto: il caso più frequente è quello delle dimissioni per giusta causa, a motivo del mancato pagamento della retribuzione per un periodo protratto e senza valide spiegazioni. In tali situazioni il lavoratore dimissionario ha anche diritto alla Naspi, l’indennità di disoccupazione, che in caso di licenziamento spetta sempre.

Licenziamento per giusta causa

Il datore di lavoro può licenziare un dipendente per “giusta causa”, quando si verificano fatti di gravità tale da ledere il necessario vincolo di fiducia che deve intercorrere tra le parti, e dunque da non permettere la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto di lavoro. In tali casi si può omettere il preavviso ed intimare il licenziamento in tronco, cioè con effetto immediato.

In ogni caso, però, il datore di lavoro deve avviare una procedura disciplinare per contestare al dipendente l’infrazione commessa, in modo da consentirgli di esporre le sue difese; il licenziamento per giusta causa non può essere intimato se non sono trascorsi 5 giorni dal ricevimento della lettera di contestazione degli addebiti.

Il licenziamento per giusta è la misura più drastica, che comporta l’improvviso venir meno del rapporto di lavoro instaurato, e dunque, essendo l’extrema ratio, deve essere riservato ai casi di maggiore gravità, altrimenti il provvedimento potrebbe essere impugnato, su ricorso del dipendente al giudice del lavoro, per sproporzione. In tali casi è dovuta la reintegra nel posto, o un’indennità risarcitoria commisurata al numero di mensilità di retribuzione globale di fatto perse dalla data del licenziamento illegittimo sino alla pronuncia del giudice.

Costituiscono casi di licenziamento per giusta causa le assenze ingiustificate per periodi protratti, il furto dei beni aziendali o altre forme di sottrazione del patrimonio, la commissione di reati sul luogo di lavoro (ad esempio, l’aggressione, o la violenza sessuale, ad un collega) i comportamenti di grave insubordinazione nei confronti del datore di lavoro (o dei superiori gerarchici e dei preposti), la violazione del patto di non concorrenza e dell’obbligo di fedeltà.

Licenziamento per giustificato motivo soggettivo

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo (in breve, licenziamento gms) avviene per motivi meno gravi rispetto a quelli che consentono il licenziamento per giusta causa. In questi casi il licenziamento non decorre immediatamente, bensì ha effetto soltanto a partire dalla data di scadenza del termine di preavviso previsto dalla contrattazione collettiva, e che dipende dall’anzianità di servizio raggiunta e dalla qualifica (per approfondire leggi “Quanto termine di preavviso deve dare il datore prima di licenziare“).

Le ipotesi che consentono il licenziamento per giustificato motivo soggettivo consistono in infrazioni più lievi rispetto a quelle che permettono il licenziamento per giusta causa: i casi più frequenti riguardano i continui ritardi sul lavoro, l’inosservanza dei regolamenti, il mancato rispetto delle procedure aziendali di sicurezza, il rifiuto di adeguarsi alle direttive organizzative, l’uso degli strumenti aziendali (macchinari, veicoli, impianti, attrezzature, materiali, ecc.) per scopi privati, lo scarso rendimento del dipendente rispetto alla media dei colleghi, il rifiuto indebito ad eseguire prestazioni di lavoro straordinario.

Anche il licenziamento per giustificato motivo soggettivo deve essere proporzionato all’entità ed alla gravità dell’infrazione commessa: se il contratto collettivo di riferimento prevede sanzioni disciplinari minori (ad esempio, la sospensione temporanea dal servizio, o la decurtazione della retribuzione), il recesso del datore di lavoro sarà illegittimo e potrà essere annullato dal giudice del lavoro in caso di ricorso del lavoratore colpito.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (licenziamento gmo) dipende da fattori che riguardano la realtà produttiva dell’azienda, e che dunque, a differenza dei casi precedenti, non dipendono direttamente dalle parti del rapporto di lavoro e tantomeno prescindono da un comportamento “colpevole” del lavoratore. In concreto, i motivi che richiedono tagli del personale e soppressione di posti di lavoro possono essere diversi, ma tutti legati a crisi aziendali o a necessità di riorganizzazioni dei processi produttivi: allora il datore di lavoro decide di ridurre i costi e di diminuire il numero degli addetti.

Si parla, perciò, di licenziamento economico, mentre le due fattispecie che abbiamo esaminato, e cioè il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, rientrano entrambe nel cosiddetto licenziamento disciplinare. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è giustificato non solo in presenza di gravi crisi aziendali, ma anche in presenza di un notevole e dimostrato calo del fatturato che comportino un’obiettiva necessità di ridurre il personale.

Licenziamenti collettivi

I licenziamenti collettivi per esubero di personale, quando coinvolgono 5 o più dipendenti per ogni insediamento produttivo, non possono essere disposti senza il preventivo interpello delle organizzazioni sindacali (aziendali o territoriali) maggiormente rappresentative: in queste situazioni il datore di lavoro, nel predisporre il progetto dettagliato dei tagli del personale che ha intenzione di effettuare, deve esporre i criteri di scelta (anzianità di servizio raggiunta, livello di inquadramento, figli o altri familiari a carico, mansioni svolte) per stabilire in modo oggettivo, evitando discriminazioni, chi dovrà essere licenziato.

La procedura prevede una fase di concertazione con le rappresentanze aziendali, che può prevedere, a seconda delle dimensioni dell’azienda, l’intervento dell’Ispettorato, territoriale o nazionale, del lavoro in funzione conciliativa e al fine di evitare negative ricadute occupazionali.

 
Pubblicato : 22 Maggio 2023 18:00