Quando le offese diventano reato?
Insulti in una chat WhatsApp: affinché si possa denunciare per diffamazione è necessario che la vittima non sia presente o non sia online.
Insultare una persona può costare una querela per diffamazione a patto che la vittima non sia presente nel momento in cui l’offesa viene proferita. La distinzione tra ingiuria (che non è più un reato) e la diffamazione (che invece lo è) si basa proprio su tale variabile. Cerchiamo di comprendere allora quando le offese diventano reato e quando invece restano dei semplici illeciti civili.
Quando l’offesa è legale
Le offese possono ritenersi legali – pertanto non rientranti né nell’ingiuria né nella diffamazione – quando, pur rasentando un linguaggio forte e aspro, sono espressione del diritto di critica, tutelato dalla Costituzione.
In particolare la critica, per essere lecita, non deve eccedere in una gratuita invettiva contro la dignità morale o professionale di una persona. Ad esempio, non rientra nella critica affermare che un tale è corrotto, raccomandato, leccapiedi, anche se la parola utilizzata non è volgare. Allo stesso modo sostenere che l’amministratore di condominio o l’avvocato è incompetente, ladro o venduto integra una condotta illecita. Nel diritto di critica invece rientrano tutte le osservazioni, gli appunti, le note di biasimo o le “recensioni” sull’attività di una persona, che non eccedono in una offesa alla persona stessa. Così, osservare che un avvocato non ha adottato una corretta strategia, che l’architetto ha arredato in modo approssimativo un appartamento, che un amministratore ha tenuto una contabilità non ordinata costituisce un comportamento lecito.
Quando l’offesa è diffamazione e quindi è reato?
Si è detto che l’offesa è illegale quando non rientra nella critica. Tuttavia ci sono alcune offese che costituiscono reato e altre invece che integrano solo un illecito civile. Nel primo caso è chiaramente possibile sporgere una querela entro 3 mesi dalla conoscenza del fatto; nel secondo caso invece si può solo proporre un’azione civile per il risarcimento del danno, entro il termine di 5 anni.
Ma quando le offese diventano reato? Lo sono quando costituiscono diffamazione. E per aversi diffamazione è necessario che la vittima dell’offesa non sia presente nel momento in cui questa viene proferita; al posto suo, ci devono essere almeno due persone ad ascoltarla. In buona sostanza la diffamazione è l’ipotesi di chi parla male di taluno alle sue spalle, quando questi cioè non è in grado di controbattere e difendersi.
La diffamazione potrebbe essere integrata anche dal comportamento di chi sparli di qualcuno tramite il passaparola: quindi prima confidandosi con una persona, poi con un’altra, poi con un’altra ancora e così via, ma sempre a patto che il commento offensivo sia sempre identico.
Quando l’offesa è ingiuria e quindi non è reato?
Invece, le offese non sono reato quando la vittima, in quel momento, è presente e quindi può sentire l’offesa e reagire alla stessa, magari con un’altra offesa (che in questo caso non sarebbe punibile legalmente in quanto costituirebbe una sorta di reazione dettata dalla rabbia).
In tal caso, dunque, non si rientra più nella diffamazione ma nell’ingiuria che, come anticipato sopra, non è reato ma un semplice illecito civile.
L’ingiuria si ha anche quando, insieme al destinatario dell’offesa, ci sono altre persone. Il numero dei soggetti che partecipano alla discussione e che pertanto possono ascoltare la frase offensiva può costituire un elemento in base al quale quantificare l’ammontare del risarcimento.
Offese che integrano reati: cosa dice la Cassazione
Secondo la Cassazione [1]:
- l’offesa diretta a una persona presente integra sempre una ingiuria, anche se sono presenti altre persone;
- l’offesa diretta a una persona “distante” è una ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra l’autore e il destinatario (si pensi a un colloquio telefonico tra la vittima e il responsabile);
- una comunicazione “a distanza” che viene indirizzata ad altre persone, oltre all’offeso, configura una diffamazione (si pensi a una mailing list);
- infine, un’offesa che riguarda una persona assente, comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre una diffamazione.
Offese in chat o per email: quando è diffamazione
Le offese fatte in una chat di Whatsapp rientrano nella diffamazione, e quindi costituiscono reato, quando:
- il destinatario non è inserito nella chat e ne viene a conoscenza magari da un terzo o da uno screenshot;
- il destinatario è inserito nella chat ma, nel momento in cui viene digitata la frase diffamatoria, è offline o comunque non collegato e pertanto non può leggerla nell’immediato.
Viceversa, le offese in chat rientrano nell’ingiuria e quindi non sono reato quando sono indirizzate alla vittima che, inserita nella chat, è in quel momento presente ed è quindi in grado di leggere la parola offensiva.
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