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Quando il datore di lavoro può controllare con le telecamere?

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(@angelo-greco)
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A quali condizioni si possono installare telecamere sul lavoro? Un dipendente può opporsi all’uso di telecamere sul posto di lavoro? Che succede se la telecamera non è stata autorizzata?

Se è vero che, sul pianerottolo del condominio, nei pressi della porta di casa propria, si può montare una telecamera (anche giocattolo) senza dover né chiedere autorizzazioni al condominio, né affiggere cartelli di avviso ai passanti, nei luoghi di lavoro le regole sono assai diverse. Ai sensi dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, il datore può infatti installare impianti audiovisivi di controllo a distanza a patto che rispetti alcune condizioni (di cui parleremo più avanti). La violazione di tali regole determina l’illegittimità del controllo, l’impossibilità di utilizzare i filmati in un eventuale processo e la commissione di un reato. Tuttavia, spesso ci si chiede se il mancato rispetto della legge possa essere superato con un’autorizzazione scritta e firmata da tutti i lavoratori. Ma procediamo con ordine e vediamo, più nel dettaglio, quando il datore di lavoro può controllare con le telecamere, a quali condizioni si possono installare impianti di videosorveglianza sul luogo di lavoro come, ad esempio, in un ufficio, un’azienda o uno studio con dipendenti. Perché non è la dimensione del luogo di lavoro a influire sull’applicazione della normativa. Pertanto, le regole che stiamo appena indicando valgono anche nel caso di un solo dipendente, come nell’ipotesi della colf o della badante domestica.

Condizioni per installare una telecamera sul lavoro

I sistemi di videosorveglianza sul lavoro non possono servire per controllare la prestazione lavorativa dei dipendenti ossia se questi svolgono diligentemente le proprie mansioni (si pensi a una telecamera posta in un negozio per verificare se la commessa è gentile con i clienti o dentro un ufficio per controllare che i lavoratori non chattino al cellulare con i loro amici). 

L’impianto di telecamere può essere installato solo: 

  • per rispondere a esigenze organizzative e produttive (per es.: una telecamera necessaria per verificare se nel negozio entrano clienti);
  • per la sicurezza sul posto del lavoro (per es.: una telecamera in una banca o alla posta per scoraggiare l’ingresso di rapinatori o nei pressi di un macchinario pericoloso per controllare che questo funzioni correttamente);
  • oppure per la tutela del patrimonio aziendale (per es.: una telecamera nei vari reparti di un supermercato per prevenire eventuali furti). Ma ciò non basta. Oltre a rispondere alle suddette finalità, l’installazione della telecamera deve anche ricevere la preventiva autorizzazione dei sindacati aziendali. Se questi non ci sono, il datore di lavoro deve farsi autorizzare dalla Commissione Territoriale del lavoro.

Ultima condizione: la presenza delle telecamere deve essere segnalata a tutti i dipendenti con appositi cartelli (non può cioè essere nascosta).

I filmati devono essere conservati solo per il tempo strettamente necessario ad adempiere alle finalità per cui è stato predisposto l’impianto e non oltre. Nessuno, oltre al datore di lavoro o a un dipendente appositamente delegato, può visionare i filmati, neanche una ditta esterna a cui questi abbia affidato l’incarico.

Il dipendente deve dare il consenso per le telecamere sul lavoro?

Una volta rispettate le suddette condizioni, il datore di lavoro non è tenuto a raccogliere il consenso dei dipendenti per installare la telecamera. Può farlo indipendentemente da una loro autorizzazione. 

Questo implica due importanti conseguenze:

  • il mancato rispetto delle condizioni di legge appena esposte non può essere superato dal consenso scritto dei lavoratori: il datore che abbia installato le telecamere per controllare i dipendenti senza l’autorizzazione del sindacato o dell’Ispettorato del Lavoro commette illecito anche se si fa autorizzare dai propri lavoratori [1];
  • i dipendenti non possono opporsi all’installazione delle telecamere sul lavoro se queste sono state autorizzate dal sindacato o dall’Ispettorato del Lavoro. Ma, ritenendo che queste non rispettino i requisiti legali, potrebbero sporgere una denuncia contro il datore di lavoro o adire il giudice civile per la rimozione dell’impianto audiovisivo. 

Quando si può installare una telecamera sul lavoro senza autorizzazioni 

La giurisprudenza ha individuato un caso in cui il datore di lavoro può installare una telecamera senza il rispetto e le procedure che abbiamo appena elencato, ossia senza bisogno delle autorizzazioni e senza cartelli di avviso. Ciò succede nel caso dei cosiddetti «controlli difensivi: si tratta delle ipotesi in cui vi sia il fondato sospetto che un determinato lavoratore stia commettendo una grave violazione passibile di licenziamento per giusta causa. Si pensi al dipendente che ruba dalla cassa o che si assenta dal lavoro senza comunicarlo oppure che timbra il cartellino per conto di colleghi assenti. In questi casi infatti il datore può nascondere una telecamera, senza ovviamente comunicarlo a nessuno, per poi utilizzare il filmato per una eventuale querela o per difendersi nell’ipotesi di contestazione del licenziamento.

Gli interessi all’installazione delle telecamere sul lavoro

Abbiamo indicato che le telecamere sul lavoro possono essere installate, con le dovute autorizzazioni, solo per rispondere a esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza sul posto del lavoro o per la tutela del patrimonio aziendale. Così dispone l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori. Spetta al datore di lavoro dover adeguatamente documentare la motivazione che sta a fondamento del legittimo interesse dello stesso a installare l’impianto, e dovrà ricercarla solamente in una (o più) delle ipotesi sopra indicate dal momento che c’è un’espressa previsione normativa che esclude la legittimità di perseguire altri interessi. Ecco che allora il datore di lavoro dovrà procedere a effettuare quelle attività collegate all’adeguamento alla materia di trattamento dei dati personali che sono racchiuse nella valutazione di legittimo interesse (o Lia – Legitimate interest assessment).

L’operazione consta di più passaggi, il primo dei quali è il Purpose test, che consiste nell’identificare l’interesse perseguito tra quelli consentiti dalla norma, ossia esigenze organizzative e produttive, sicurezza sul lavoro e tutela del patrimonio aziendale. 

Pertanto, il datore dovrà indicare in un apposito documento scritto se intende tutelare la sicurezza dei luoghi di lavoro, il patrimonio aziendale o le esigenze organizzative e produttive. 

Il secondo passaggio (chiamato «Necessity test») consiste nel dimostrare di aver operato andando a installare quelle telecamere che riprendano le aree effettivamente a rischio (porte di accesso ai locali, finestre o portefinestre che collegano all’esterno, luoghi nei quali, ad esempio, vengono depositati momentaneamente gli incassi in contanti delle quote condominiali, server e router per verificare chi eventualmente tenta di frodare i sistemi informatici, ecc.).

Infine c’è il terzo passaggio, il cosiddetto «Balancing test»: le telecamere installate dovranno, quindi, riprendere con il loro raggio d’azione solo i punti più a rischio in relazione agli obiettivi prefissati e, in ossequio all’ulteriore principio del bilanciamento, occorrerà tenere conto anche della quantità e tipologia di informazioni che è possibile raccogliere sugli interessati. 

Si dovranno individuare le categorie di interessati coinvolti nelle ipotesi in cui siano ripresi soggetti ulteriori rispetto ai lavoratori (ad esempio, condòmini e fornitori). Il documento redatto sulla valutazione del legittimo interesse va allegato alla proposta di accordo sindacale o all’istanza da presentare all’ispettorato del lavoro. 

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Pubblicato : 19 Gennaio 2023 12:00