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Quali tipologie di contratto prevede il lavoro dipendente

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(@paolo-remer)
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Le varie forme di rapporto oltre alla classica e stabile formula del tempo indeterminato: quali garanzie e tutele offrono e in quali casi possono applicarsi.

In un’epoca fluida come quella attuale, in cui il lavoro diventa sempre più instabile e precario, ed è ormai tramontato il mito del posto fisso per tutta la vita, diventa importante sapere quali tipologie di contratto prevede il lavoro dipendente: così, quando ci si siede al tavolo per contrattare la fatidica assunzione, sarai più consapevole delle proposte formulate dal datore di lavoro e degli eventuali rischi o inconvenienti che comportano, in tutti i casi in cui non si tratta del classico rapporto a tempo indeterminato.

Contratto a tempo indeterminato

Iniziamo la nostra esposizione con la formula standard, quella del contratto a tempo indeterminato, detto anche a tempo pieno (o full time). È questa l’ordinaria tipologia di rapporto di lavoro, in base alla quale – come prevede l’articolo 2094 del Codice civile – il dipendente – chiamato dalla norma «prestatore di lavoro subordinato» – si impegna a prestare la propria attività lavorativa (che, a seconda dei casi e delle prestazioni convenute, può essere manuale o intellettuale – «alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore».

Il corrispettivo di questo contratto è costituito dalla retribuzione, che deve essere stabilita nella misura prevista dai contratti collettivi di lavoro previsti per quel comparto d’impiego, qualifica ricoperta e mansioni svolte. Gli elementi costitutivi del contratto a tempo indeterminato sono, pertanto:

  • la subordinazione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e gerarchico del datore di lavoro, che può emanare direttive sulle modalità di svolgimento delle prestazioni;
  • l’onerosità della prestazione: il lavoratore ha il diritto alla retribuzione, ed il datore ha il correlativo obbligo di pagarla puntualmente;
  • la stabilità del rapporto, che non è soggetto a termine prestabilito, anche se nel 2015 il Jobs Act [1] ha introdotto un regime di «tutele crescenti» in base al quale i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi godono di minori garanzie in caso di licenziamento illegittimo rispetto a quanto previsto per i lavoratori assunti in precedenza, dallo Statuto dei Lavoratori [2].

Contratto a tempo determinato

Il contratto di lavoro a tempo determinato si differenzia da quello a tempo indeterminato per la durata, che è prestabilita: questo tipo di rapporto ha un termine di scadenza prefissato sin dall’inizio. In particolare, il periodo massimo non deve superare i 24 mesi, salvo proroghe, che sono possibili solo se previste dai contratti collettivi (nazionali, territoriali o aziendali), stipulati dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, o mediante la «deroga assistita» sottoscritta, sempre con l’assistenza dei sindacati, presso l’Ispettorato del lavoro.

Il contratto a tempo determinato è possibile solo quando è destinato a coprire esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività d’impresa, o a sostituire altri lavoratori, o a sopperire ad «incrementi temporanei, significativi e non programmabili» dell’attività lavorativa ordinaria [3]. C’è anche un vincolo numerico: la percentuale dei lavoratori a termine non deve superare il  20% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, salve diverse previsioni dei contratti collettivi (questo limite non vale per i datori che impiegano fino a 5 dipendenti, o che assumono dipendenti over 50, o che svolgono in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica).

Salve le deroghe che abbiamo visto, il contratto di lavoro a tempo determinato non può essere prorogato per più di 4 volte nei 24 mesi, altrimenti si trasforma in contratto di lavoro a tempo indeterminato; la conversione è automatica e, in caso di contestazione, viene dichiarata dal giudice del lavoro.

Contratto a tempo parziale (part time)

Il part time è un contratto di lavoro caratterizzato da un orario di lavoro ridotto rispetto al corrispondente tempo pieno: ad esempio, 24 ore settimanali anziché 40 ore. Per questo è un contratto a tempo parziale, che serve per venire incontro alle esigenze del lavoratore stesso. Per il resto, le tutele retributive, contributive ed accessorie (godimento delle ferie, periodi di riposo, permessi, maturazione del Tfr) rimangono inalterate, e soltanto proporzionalmente ridotte rispetto al full time, per rapportarle al numero di ore lavorative svolte.

Esistono tre tipi di contratto di lavoro a tempo parziale:

  • part time orizzontale: il dipendente lavora tutti i giorni, ma per meno tempo rispetto all’orario pieno (ad esempio, solo la mattina dalle 9 alle 13);
  • part time verticale: il lavoratore fa l’orario intero, ma solo per alcuni giorni della settimana o del mese (ad esempio, 8 ore nei giorni dispari, il lunedì, mercoledì e venerdì);
  • part time misto: è una combinazione delle due modalità precedenti (ad esempio, in alcuni periodi dell’anno solo il pomeriggio dalle 14 alle 18, e in altri l’orario pieno ma solo in determinate giornate).

Come abbiamo detto, i diritti del lavoratore part time sono analoghi a quelli dei colleghi a tempo pieno.

Contatto di somministrazione di lavoro

Il lavoro somministrato è uno schema di rapporto comprendente tre soggetti: l’impresa utilizzatrice, che si avvale delle prestazioni di lavoratori, richiedendole ad agenzie autorizzate, dette anche soggetti somministratori, i quali devono essere iscritti nell’albo tenuto presso l’Anpal (Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro.

Il contratto di somministrazione di lavoro, quindi, a ben vedere è duplice, perché il primo viene concluso tra l’utilizzatore ed il somministratore, mentre il secondo si realizza nell’accordo tra il somministratore ed il lavoratore dipendente (che, a seconda dei casi, può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato: quest’ultimo tipo prende la denominazione di staff leasing). In tutti questi casi il potere datoriale (direttivo, organizzativo, di controllo e gerarchico) è esercitato dall’utilizzatore, dato che il lavoratore svolge l’attività alle sue dipendenze.

Il contratto di somministrazione di lavoro va stipulato in forma scritta, altrimenti è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze del soggetto che ne utilizza la prestazione lavorativa.

Il ricorso alla somministrazione di lavoro è vietato:

  • per sostituire lavoratori in sciopero;
  • in aziende che hanno effettuato, nei 6 mesi precedenti, licenziamenti collettivi di lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce la somministrazione;
  • presso unità produttive di imprese in cui è operante una sospensione del lavoro o la riduzione dell’orario con diritto al trattamento di integrazione salariale che interessano lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce la somministrazione;
  • quando il datore di lavoro non ha eseguito la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori [4].

Il periodo di lavoro svolto da dipendenti assunti con contratto di somministrazione a tempo determinato va computato nel calcolo dei 24 mesi previsti come limite massimo di durata di un contratto a tempo determinato, oltre il quale il contratto si trasforma a tempo indeterminato.

Contratto di lavoro intermittente

Con il  contratto di lavoro intermittente – detto anche “lavoro a chiamata” – il dipendente si mette a disposizione di un datore di lavoro che ne utilizza le prestazioni in modo discontinuo, e, precisamente, nei periodi della settimana, del mese o dell’anno predeterminati dalla contrattazione collettiva del comparto di riferimento e dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali [5].

Questo tipo di contratto può essere concluso soltanto da soggetti di età inferiore a 24 anni o superiore a 55 anni, e limitatamente ad alcuni comparti di attività; il limite massimo di durata con il medesimo datore di lavoro è di 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari (fanno eccezione i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo), oltre i quali il rapporto si trasforma in contratto a tempo pieno e indeterminato.

Lo svantaggio di questa formula per i lavoratori sta nel fatto che, nei periodi in cui non vengono utilizzate la prestazione, non si matura il diritto al trattamento economico, a meno che non sia stata data la propria disponibilità a rispondere alle chiamate: in tali casi è prevista la corresponsione di un’apposita indennità di disponibilità, il cui ammontare viene fissato dai contratti collettivi. Il rifiuto di rispondere alle chiamate può costituire giustificato motivo di licenziamento.

Contratto di lavoro stagionale

Il contratto di lavoro stagionale riguarda le prestazioni lavorative svolte soltanto in particolari periodi dell’anno, dunque senza carattere di continuità. Viene utilizzato spesso nei comparti a produzione ciclica, come quello turistico, alberghiero, balneare, della ristorazione, dell’intrattenimento e spettacolo e della filiera agroalimentare.

Possono stipulare contratti stagionali le aziende datrici di lavoro che osservano, nel corso dell’anno, uno o più periodi di chiusura dell’attività, non inferiori ad almeno 70 giorni continuativi o a 120 giorni non continuativi [6]. Le prestazioni lavorative dei dipendenti non possono essere inferiori a 15 ore settimanali.

Il lavoratore assunto con contratto a termine per lo svolgimento di attività stagionali, ha diritto di precedenza, rispetto a nuove assunzioni a termine da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali. La riassunzione successiva di un lavoratore stagionale non comporta per il datore di lavoro l’obbligo di rispettare gli intervalli previsti tra i contratti a termine.

 
Pubblicato : 9 Aprile 2023 09:45