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Quali sono i miei diritti in caso di licenziamento ingiusto?

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(@angelo-greco)
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Come può difendersi il lavoratore dipendente in caso di licenziamento illegittimo: tutti i casi, i termini e le tutele legali. 

Lo Statuto dei lavoratori, per quanto profondamente modificato da una serie di riforme, ha mantenuto sostanzialmente intatti i diritti del lavoratore in caso di licenziamento ingiusto. Diritti che consistono innanzitutto nella possibilità di conoscere, nel dettaglio, le ragioni alla base del licenziamento e di comprendere, nel caso di licenziamento disciplinare, le contestazioni mosse dal datore onde presentare difese a proprio sostegno. In secondo luogo il lavoratore ha diritto a contestare il licenziamento e a promuovere un giudizio in tribunale rimettendo al giudice la decisione sulla legittimità della scelta aziendale. La riforma del Jobs Act, con l’abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ha però profondamente modificato la tutela legale in caso di licenziamento illegittimo stabilendo, come regola, il risarcimento del danno e solo in via eccezionale la reintegra sul posto, relegandola alle violazioni più gravi. 

Anche tu, probabilmente, ti sarai chiesto quali sono i miei diritti in caso di licenziamento illegittimo. Se vuoi approfondire l’argomento non ti resta che leggere questa guida. 

Scoprirai che i diritti possono variare a seconda del tipo di licenziamento che viene intimato dal datore, ossia dei motivi alla base di esso. Ma procediamo con ordine. 

Il diritto a conoscere le motivazioni del licenziamento

Il primo diritto del lavoratore licenziato è quello di conoscere, nel dettaglio, le ragioni alla base del licenziamento. I motivi possono essere di due tipi:

  • motivi disciplinari: legati cioè al comportamento gravemente scorretto del lavoratore. Nel caso in cui la violazione sia particolarmente grave viene intimato il licenziamento per giusta causa (ossia senza preavviso o, come spesso si dice, “in tronco”); negli altri casi invece si parla di il licenziamento per giustificato motivo soggettivo (ossia con rispetto del periodo di preavviso previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro);
  • motivi collegati a esigenze economiche o produttive: è il cosiddetto licenziamento per giustificato motivo oggettivo. È ad esempio l’ipotesi di licenziamento determinato da crisi, da cessazione delle mansioni, dalla chiusura di un reparto, dalla necessità di ridurre le spese e aumentare gli utili, dall’esternalizzazione di determinati compiti, ecc. 

La lettera di licenziamento deve quindi indicare analiticamente i motivi che hanno giustificato la risoluzione del contratto di lavoro onde consentire al dipendente di presentare le proprie difese. 

Proprio per questo la legge stabilisce l’immodificabilità delle ragioni poste a base del licenziamento: il datore non potrebbe, ad esempio nel corso del giudizio in tribunale, cambiare strategia e addurre ulteriori o diversi motivi per giustificare la propria scelta. 

In questa sede, la legge non accorda al dipendente il diritto di accedere a documentazioni, prove e “denunce” contro di lui su cui si basa il licenziamento. Nel caso in cui dovesse ritenere infondato il provvedimento del datore sarebbe tenuto a impugnarlo in giudizio, potendo solo in quella sede prendere conoscenza effettiva delle prove a suo sfavore.

Il diritto a essere informato tempestivamente

Il licenziamento deve essere “tempestivo” rispetto al fatto che lo origina. Non si potrebbe, ad esempio, licenziare una persona per cessazione del ramo d’azienda dopo un anno che questo è stato ormai dismesso. Né sarebbe lecito un licenziamento dopo numerosi mesi dalla violazione commessa dal dipendente se di essa il datore era ben edotto.

La legge non fissa un termine entro cui debba intervenire il licenziamento rispetto ai fatti che ne sono il fondamento. La tempestività viene valutata, di volta in volta, dal giudice sulla base della complessità degli accertamenti del datore di lavoro o della dimensione dell’azienda. Sono stati ritenuti ad esempio leciti licenziamenti a distanza di oltre cinque mesi dalla violazione disciplinare. 

Il diritto a essere reimpiegato

Solo in caso di licenziamento disciplinare, il dipendente ha diritto al cosiddetto repêchage: in pratica, il datore di lavoro, prima di recedere dal contratto, deve valutare se può adibire il dipendente ad altre mansioni, anche di livello inferiore, compatibili con la sua formazione. Il datore deve dare prova, dinanzi al giudice, di aver effettuato tale valutazione: diversamente il licenziamento è illegittimo.

Il diritto a difendersi

Il diritto alla difesa, in caso di licenziamento illegittimo, si atteggia in modo diverso a seconda del tipo di licenziamento.

Nel caso di licenziamento disciplinare, prima della formale risoluzione del contratto, il datore deve inviare al dipendente una raccomandata con un preavviso: è la cosiddetta lettera di contestazione che serve ad avviare il procedimento disciplinare. In tale comunicazione il datore rappresenta al dipendente il comportamento “incriminato”, descritto in modo analitico con indicazione del momento in cui è stato commesso. Inoltre, come anticipato, la contestazione deve essere tempestiva e immodificabile.  

Entro cinque giorni dal ricevimento di tale lettera il dipendente deve presentare delle giustificazioni scritte a proprio favore. In alternativa o in aggiunta può chiedere di essere sentito di persona, eventualmente con l’assistenza di un sindacalista (non è invece ammesso l’avvocato).

Il datore di lavoro non può prendere la decisione in merito alla sanzione disciplinare prima della scadenza del quinto giorno. Dopodiché deve comunicare il licenziamento vero e proprio.

Nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, invece, il dipendente riceve direttamente la lettera di licenziamento con indicazione delle ragioni.

La contestazione del licenziamento

Entro 60 giorni dal ricevimento del licenziamento, il dipendente può contestare tale provvedimento con una raccomandata a/r, una pec o una lettera consegnata a mano con cui comunica la semplice intenzione di opporsi al licenziamento medesimo. Non deve indicare anche le ragioni di tale opposizione, riservandole alla successiva fase di giudizio.

Se il termine scade inutilmente, il licenziamento, anche se illegittimo, diventa definitivo. 

Entro 180 giorni dall’invio della lettera di contestazione, il dipendente, a mezzo del proprio avvocato, deve depositare il ricorso in tribunale per l’impugnazione del licenziamento.

Il risarcimento del danno

In caso di licenziamento illegittimo, il dipendente ha diritto al risarcimento del danno. 

Nelle aziende con meno di 15 dipendenti si ha diritto, di regola, al solo il risarcimento del danno e non alla reintegra.

Il risarcimento è costituito da un’indennità che va da 2,5 a 6 mensilità della retribuzione globale di fatto. Tuttavia, se il lavoratore è stato assunto dopo il 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del D. Lgs. 23/2015, il cosiddetto Jobs Act) l’indennità va da 3 a 6 mensilità della retribuzione per il calcolo del Tfr, senza contributi. 

Il giudice, nel determinare l’ammontare del risarcimento, deve tenere conto dell’anzianità di servizio del lavoratore, del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e condizioni delle parti.

Se il datore di lavoro ha più di 15 dipendenti e il lavoratore è stato assunto prima del 7 marzo 2015, in caso di inesistenza del motivo di licenziamento (ad esempio: soppressione di una posizione lavorativa che invece continua ad essere ricoperta da un altro dipendente), si possono avere la reintegra e il pagamento di un’indennità di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, con i contributi previdenziali.

In alternativa, a discrezione del giudice, il rapporto è risolto e il datore è condannato al pagamento di un’indennità da 12 a 24 mensilità della retribuzione globale di fatto. 

Se il lavoratore è stato assunto dopo il 7 marzo 2015 (ossia dopo l’entrata in vigore del Jobs Act), il rapporto è risolto e il datore è condannato al pagamento di un’indennità tra 6 e 36 mensilità, senza contribuzione.

Quando si ha diritto alla reintegra sul posto

Tutte le volte in cui i fatti posti a fondamento del licenziamento sono inesistenti, il dipendente ha diritto alla reintegra nel proprio posto. Si pensi a una contestazione disciplinare per un comportamento mai commesso o quando il datore sostenga l’esigenza di una crisi che in realtà non trova riscontro nei bilanci.

La reintegra spetta anche in caso di licenziamento verbale, licenziamento discriminatori, per causa di matrimonio o durante il periodo della gravidanza.  

Per quanto attiene al licenziamento della lavoratrice madre, la dipendente non può essere licenziata dall’inizio del periodo di gravidanza (300 giorni prima della data presunta del parto) fino al termine del congedo di maternità e fino a 1 anno di età del bambino.

Per quanto attiene al licenziamento per matrimonio, esso prevede il divieto nel periodo che decorre dalla richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino a un anno dopo l’avvenuta celebrazione delle nozze.

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Pubblicato : 31 Gennaio 2023 11:45