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Può un amministratore di società lavorare gratis?

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Scopri le norme che regolano la rinuncia al compenso per gli amministratori di società di capitali. Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate pretende il pagamento delle tasse su un compenso mai ricevuto?

Nel panorama aziendale italiano, spesso emerge il dubbio se sia possibile, per un amministratore di società, di svolgere gratuitamente il proprio incarico. Questa eventualità, del tutto legittima, deve però risultare in modo incontrovertibile dalle dichiarazioni dell’amministratore stesso (che possono essere espresse anche in forma tacita) o da una clausola contenuta nello stato della società.

Come chiarito dalla Cassazione dunque l’onerosità non costituisce un elemento essenziale dell’attività prestata dall’amministratore di società di capitali (Cass. sent. n. 15382/2017).

Ma perché è così importante stabilire se un amministratore di società può lavorare gratis? A ben vedere, l’esigenza non è solo quella di regolare i rapporti tra le parti laddove non siano stati formalizzati per iscritto ma anche contrastare eventuali accertamenti fiscali fondati sulla presunzione di un reddito – quello dell’amministratore – non dichiarato (quando in realtà non è mai stato percepito).

Approfondiamo l’argomento tenendo conto dei più importanti precedenti giurisprudenziali offerti dalla Suprema Corte.

Di che natura è il rapporto tra amministratore e società?

L’amministratore è il rappresentante della società, il suo portavoce, colui che ne manifesta la volontà all’esterno. Il rapporto tra questi due soggetti quindi non è di natura contrattuale e lavorativa (come potrebbe essere quello tra dipendente e datore di lavoro) ma di “immedesimazione organica”: in pratica tutte le attività poste dall’amministratore si imputano direttamente alla società da lui rappresentata. Egli ne è infatti un organo e, al contempo, una longa manus.

Proprio per questo non è possibile presumere in automatico che l’incarico dell’amministratore sia sempre retribuito, anche se, nella gran parte dei casi, lo è. Dunque nulla esclude che l’amministratore possa decidere di operare senza ricevere compensi ossia in forma gratuita. Questa interpretazione è stata sostenuta dalla Corte di Cassazione con la sentenza n° 285 del 2019.

Come può un amministratore rinunciare al compenso?

Secondo la sentenza n. 15382/2017 della Cassazione, l’onerosità non è un elemento essenziale dell’incarico conferito dalla società al suo amministratore.

Naturalmente, la rinuncia al compenso deve risultare da un atto o un comportamento anteriore all’instaurazione del rapporto.

La possibilità per un amministratore di non ricevere un compenso deve essere chiaramente stabilita o attraverso una clausola statutaria, come indicato dalla sentenza n° 1673 del 2021 della Cassazione, o mediante una dichiarazione unilaterale di rinuncia al compenso, come sostenuto dalle sentenze n° 16530 e 16531 del 2018.

La rinuncia al compenso da parte dell’amministratore può essere:

  • espressa ossia con una apposita dichiarazione;
  • tacita, purché desumibile da un comportamento concludente che indichi in modo inconfondibile la volontà di non percepire il compenso (Cass. sent. n. 21172/2021).

Cosa succede se l’amministratore non chiede il pagamento?

Dal semplice comportamento omissivo, ossia dalla mancata richiesta di compenso, non può i può desumere in automatico una forma di rinuncia al pagamento da parte dell’amministratore. Tale volontà deve essere dimostrata da un comportamento che abbia un significato negoziale preciso e non ambiguo, come precisato dalla sentenza n° 24139 del 2018. Infatti, in via generale, il silenzio o l’inerzia non possono essere interpretati quale manifestazione tacita della volontà di rinunciare al diritto di credito, il quale non può mai essere oggetto di presunzioni.

La mancata retribuzione è tassabile?

Interessante è il punto di vista manifestato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n° 18643 del 2018. La Corte ha stabilito che, in materia di accertamento delle imposte sui redditi, l’Agenzia delle Entrate non può presumere l’onerosità del mandato dell’amministratore e pretendere di assoggettare a tassazione il relativo compenso. Il fisco non può fondare la pretesa su una presunzione non dimostrata. Del resto l’amministratore ha un diritto disponibile al compenso a cui quindi può ssempre rinunciare (Corte di Cassazione 18643/2018).

 
Pubblicato : 6 Novembre 2023 18:15