Pratiche commerciali scorrette: cosa sono?
Cos’è e a chi si applica il Codice del Consumo? In cosa consistono le pratiche commerciali ingannevoli e aggressive? Si può annullare il contratto?
La legge tutela i cosiddetti “contraenti deboli”, cioè i soggetti che, al momento della stipula di un contratto, si trovano in una posizione di inferiorità rispetto alla controparte. Si pensi, ad esempio, allo squilibrio informativo che normalmente c’è tra il venditore e l’acquirente: il primo è sicuramente ben a conoscenza di pregi e difetti del prodotto che mette sul mercato, contrariamente al compratore. Per non parlare di tutte le volte in cui al cliente non resta che accettare le condizioni unilaterali imposte da società come banche e assicurazioni. È in questo contesto che si inserisce la seguente domanda: cosa sono le pratiche commerciali scorrette?
Come vedremo, si tratta di una nozione piuttosto generica all’interno della quale può essere ricondotta una serie di azioni ingannevoli o comunque poco professionali da parte del commerciante. Prima di addentrarci nell’argomento occorre preliminarmente spiegare a chi si applicano le norme previste all’interno del Codice del consumo.
Cos’è il Codice del consumo?
Il divieto di pratiche commerciali scorrette è contenuto all’interno del cosiddetto Codice del consumo: si tratta di un testo normativo in cui sono raccolte le principali regole a tutela dei contraenti deboli, cioè di coloro che si interfacciano con professionisti del settore commerciale, trovandosi il più delle volte in uno stato di soggezione nei confronti di costoro.
Per la precisione, le norme previste dal Codice del consumo [1] si applicano solamente a protezione dei consumatori, sempreché la controparte contrattuale sia un professionista, cioè una persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale.
Ciò significa che il Codice del consumo, ivi incluso il divieto di pratiche commerciali scorrette, non si applica nel caso di:
- contratti tra consumatori;
- contratti tra professionisti o tra aziende.
Risultano perciò escluse sia le vendite di seconda mano da privato a privato, sia le forniture di beni di consumo tra aziende.
Consumatore: chi è?
Secondo la legge, per consumatore si intende la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta [2].
Paolo, imprenditore, acquista un computer portatile per sua figlia. La compera è stata fatta in qualità di comune persona fisica, non di imprenditore, per scopi che non riguardano la propria attività lavorativa.
Marco, avvocato, acquista online un accessorio per la propria auto. Anche in questo, l’operazione è stata compiuta per fini assolutamente estranei alla propria professione; pertanto, Marco è un consumatore.
Al contrario, sono esclusi dalla nozione di consumatore:
- le persone giuridiche;
- gli enti diversi dalle persone fisiche con finalità non lucrative (associazioni, fondazioni, comitati, scuole ed università);
- le persone fisiche qualificabili come “professionisti” o gli imprenditori (anche le ditte individuali) che concludono un contratto per finalità professionali/imprenditoriali.
Cosa sono le pratiche commerciali scorrette?
Sono scorrette tutte le pratiche commerciali con cui il professionista cerca di ottenere un vantaggio economico indebito influenzando le scelte del consumatore.
Detto in altri termini, la pratica scorretta è l’iniziativa con cui il professionista cerca di approfittarsi del consumatore inducendolo a sottoscrivere un contratto o anche solo ad accettare una clausola a cui, altrimenti, non avrebbe aderito.
Ad esempio, è scorretta la pratica della concessionaria d’auto con cui si impone al cliente di acquistare il veicolo accettando di sottoscrivere un finanziamento, rifiutando quindi il pagamento in un’unica soluzione, evidentemente perché d’accordo con la società finanziaria che eroga il prestito.
In cosa consistono le pratiche commerciali scorrette?
Il Codice del consumo non fornisce una definizione di pratica commerciale scorretta, dovendo pertanto ritenersi che in esse rientrano tutte le condotte del professionista, diverse da quelle espressamente previste nelle altre norme (come ad esempio l’imposizione di clausole vessatorie), che siano tuttavia ugualmente in grado di imporre al consumatore condizioni per sé svantaggiose mediante l’abuso della propria posizione di “superiorità”.
Per la precisione, la legge [3] afferma che all’interno dell’ampia nozione di pratiche commerciali scorrette debbano rientrare anche:
- le pratiche commerciali ingannevoli, per tale dovendosi intendere quelle che contengono informazioni non rispondenti al vero oppure idonea a indurre in errore il consumatore medio riguardo a una delle caratteristiche principali del prodotto, spingendolo ad assumere una decisione che non avrebbe altrimenti preso [4]. Riprendendo il caso esemplificato in precedenza, si pensi al titolare della concessionaria che, garantendo un finanziamento a tasso zero, ottenga il consenso alla finanziaria che, altrimenti, il consumatore non avrebbe accettato;
- le pratiche commerciali aggressive, caratterizzate da molestie e coercizione (compreso il ricorso alla forza fisica), idonee a limitare la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto, inducendolo ad assumere una decisione che non avrebbe altrimenti preso [5]. Sono ad esempio aggressivi i comportamenti che creano nel consumatore l’impressione di non potere lasciare i locali commerciali fino alla conclusione del contratto oppure le visite a domicilio nel corso delle quali il professionista ignora gli inviti del consumatore a lasciare la sua residenza.
Cosa fare in caso di pratiche commerciali scorrette?
In presenza di pratiche commerciali scorrette il consumatore può invocare l’annullamento del contratto e il risarcimento del danno.
Per chiedere che l’accordo sia invalidato occorre però dimostrare che il raggiro posto in essere dal professionista oppure la violenza morale subita siano stati determinanti nell’accettare condizioni svantaggiose che, altrimenti, sarebbero state rifiutate.
Riprendendo ancora una volta l’esempio del consumatore che si reca in concessionaria, se il cliente dimostra che il finanziamento è stato accettato solamente perché il rivenditore aveva garantito l’assenza di interessi, magari mostrando moduli diversi poi da quelli che ha fatto sottoscrivere, allora potrà chiedere l’annullamento del prestito e la restituzione di quanto speso in ragione dell’accordo invalidato.
Per quanto riguarda il risarcimento, occorre dimostrare che la pratica commerciale scorretta del professionista sia stata anche fonte di danni.
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