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Perché i migranti fanno “comodo” all’Italia

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(@giordana-liliana-monti)
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Secondo le stime la carenza di manodopera costa all’Italia intorno ai 15 miliardi di dollari ogni anno: soldi «salvi» grazie al lavoro dei migranti.

Negli anni il mantra «gli immigrati vengono in Italia per rubarci il lavoro» è diventato quasi il simbolo di una vecchia ed errata concezione della migrazione, piena di preconcetti e pregiudizi. La verità è che nella maggior parte dei casi i mestieri che vedono impiegati i migranti sono lavori che gli italiani ormai da tempo si rifiutano di fare.

In Italia sono presenti circa 6,4 milioni di immigrati, il 10% della popolazione totale del Paese. E se attualmente più della metà della popolazione italiana è in età lavorativa (15-64 anni), entro il 2050 i numeri potrebbero abbassarsi drammaticamente. Già per la fine del nuovo anno, infatti, si stima un calo della popolazione in età lavorativa di circa il 7% e al 2050 questa percentuale raggiungerà ben il -28%. Considerato che la carenza di manodopera costa all’Italia intorno ai 15 miliardi di dollari ogni anno (2022), i talenti provenienti da altri Paesi possono rivelarsi una risorsa preziosa anche per l’economia del Paese. È quanto emerge dalla ricerca «Migration Matters: A Human Cause With a value20 Trillion Business Case», pubblicata da Boston consulting group (Bcg), in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim).

Dall’inizio del 2022, milioni di persone hanno lasciato il proprio Paese a causa della pandemia, dell’accelerazione dei cambiamenti climatici e della situazione geopolitica ed economica internazionale. Se la migrazione transfrontaliera genera attualmente una produzione economica di circa 9.000 miliardi di dollari all’anno, questa cifra potrebbe più che raddoppiare entro il 2050, raggiungendo circa 20.000 miliardi di dollari.

«È necessario cambiare il paradigma della migrazione -spiega Johann Harnoss, partner and associate director for Innovation di Bcg- per le aziende, infatti, la migrazione può rappresentare un vantaggio competitivo essenziale: quello che oggi è un costo opportunità di oltre 1.000 miliardi di dollari, entro il 2050 potrebbe trasformarsi in un’opportunità da 20.000 miliardi di dollari».

Più di 280 milioni di persone – il 3,6% della popolazione mondiale – vivono in Paesi diversi da quello in cui sono nati. La destinazione principale, negli ultimi 50 anni, sono stati gli Stati Uniti: nel 2020 hanno ospitato più di 50 milioni di immigrati, seguiti dalla Germania (16 milioni) e dall’Arabia Saudita (13 milioni). Di questi, circa 169 milioni erano lavoratori, di cui 70 milioni donne.

Stando ad una ulteriore indagine Bcg, ‘When innovation has no borders, culture is key’, condotta tra gli amministratori delegati di aziende in dieci Paesi nelle principali geografie del mondo, il 72% di essi ritiene che «la migrazione sia positiva per lo sviluppo del Paese», al contrario rispetto a quanto ritenuto dal 41% dell’opinione pubblica di questi Paesi.

Tuttavia, seppure il 95% dei Ceo affermi di voler creare team più diversificati a livello globale, solo il 5% adotta strategie per riuscirci e avere un impatto a lungo termine. D’altronde, le principali preoccupazioni sociali dei leader aziendali sono attualmente cinque e cioè: povertà globale, clima e sostenibilità, stabilità geopolitica, formazione e digitalizzazione. Il fenomeno della migrazione non appare quindi tra queste. «Nonostante l’innegabile contributo dei migranti alle economie globali, c’è ancora molto da fare per sostenere i loro diritti e sfruttare appieno il loro potenziale», ha dichiarato Ugochi Daniels, vicedirettore generale dell’Oim. «Investire in una migrazione sicura, ordinata e dignitosa non è solo la cosa giusta da fare, ma anche la più intelligente», ha continuato.

Le organizzazioni con un alto numero di immigrati nei propri leadership team hanno in media una redditività superiore di circa il 15% – 2,2 punti percentuali se misurata in termini di utili al lordo di interessi e imposte di vendita, e hanno il 75% di probabilità in più di essere innovatori di livello mondiale. Nel 2020, ad esempio, il 28% delle 2.000 maggiori società quotate in borsa al mondo ha reso nota la cittadinanza dei propri membri del consiglio di amministrazione e del gruppo dirigente e, tra queste aziende, il 26% dei dirigenti a livello di consiglio di amministrazione proveniva da un Paese diverso da quello della sede centrale dell’azienda.

La mancanza di manodopera è costata oltre 1.300 miliardi di dollari nel 2022 a livello globale, raggiungendo il suo massimo storico a metà del 2022. Stati Uniti, Cina, Germania, Regno Unito e Canada i più colpiti con un costo di 1.300 miliardi di dollari all’anno. Esaminando le 30 maggiori economie mondiali però, Bcg ha rilevato 30 milioni di posti di lavoro scoperti. Per risolvere il problema saranno quindi necessari salari più alti, automazione, istruzione e riqualificazione, ma le aziende dovranno prendere in considerazione anche la migrazione.

Per questo lo studio propone 3 strategie.

1) attrazione dei talenti: sviluppare una strategia globale e adottare nuove norme linguistiche, globalizzare le assunzioni, utilizzare nuove piattaforme di recruiting per scoprire talenti «nascosti» e consentire un maggior numero di operazioni a distanza;

2) innovazione globale: implementare una strategia per sfruttare la varietà di talenti nei team diversificati a livello globale attraverso la creazione di reti di migrazione, programmi di tirocinio e facendo valore delle differenze culturali;

3) diritti umani globali: farsi garanti dei diritti dei migranti prima, durante e dopo la migrazione, assicurando che le pratiche aziendali siano allineate con gli standard internazionali del lavoro. L’impegno delle imprese rafforza le strutture di governance che proteggono e tutelano i diritti dei migranti ed è fondamentale per sviluppare percorsi migratori più sostenibili e legali.

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Pubblicato : 4 Gennaio 2023 17:09