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Pedone cade in una buca: risarcimento danni

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(@paolo-remer)
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A quali condizioni l’Ente proprietario della strada deve pagare l’infortunato; come funziona il caso fortuito; quando conta la colpa del danneggiato. La svolta della Cassazione rende più facile ottenere il dovuto.

Chi ha detto che il pedone deve stare attento a dove mette i piedi, altrimenti se cammina distratto, cade e si fa male, perde il diritto al risarcimento dei danni? E che quanto più la buca è grossa, la disattenzione che provoca la caduta è colpa del pedone, che “non poteva non vedere”, e dunque doveva accorgersi dell’ostacolo? E che se la buca si trova lungo il tragitto abituale, il pedone “non poteva non sapere” dell’esistenza di una buca vicino casa o al luogo di lavoro, e dunque gli si rimprovera la mancanza di accortezza, o di memoria?

Lo hanno detto, innumerevoli volte, i giudici italiani, respingendo richieste risarcitorie di questo tipo, basandosi su un teorema: l’insidia grossa, visibile e vicina non è tale, e chi ci finisce dentro ha torto: è tutta colpa sua e non può lamentarsi. Ma adesso la Corte di Cassazione [1] ha cambiato criterio e ha dettato una nuova linea interpretativa: se il pedone cade in una buca il risarcimento danni gli spetta di diritto, a meno che l’Ente proprietario della strada (come il Comune nei centri cittadini, o la Provincia) non dimostri un «caso fortuito» che in quanto tale esula dalla sua responsabilità di prevenzione, sicurezza e custodia del manto stradale in buone condizioni. È questo l’unico scoglio da superare, e non ve ne sono altri, a meno che il pedone non sia stato talmente incauto da aver provocato egli stesso la propria caduta (in tal caso il risarcimento gli viene decurtato in proporzione al grado di colpa).

Abbiamo sintetizzato al massimo il succo di questa innovativa pronuncia, che con ogni probabilità segnerà la giurisprudenza futura: la Suprema Corte ha enunciato un principio al quale i giudici di merito potranno adeguarsi, come criterio guida nelle loro decisioni. Adesso vediamo più in dettaglio come funziona il meccanismo che consente il risarcimento danni al pedone caduto in una buca stradale, intendendo per buca anche le varie sconnessioni, crepe e dislivelli del marciapiede o della pavimentazione non asfaltata, cioè tutti i fenomeni che chi percorre le strade a piedi ben conosce: il discorso non cambia e i criteri applicabili rimangono i medesimi.

Caduta nella buca: quali norme si applicano per il risarcimento?

La norma fondamentale che disciplina il risarcimento dei danni per i pedoni infortunati (o talvolta deceduti) a seguito di una caduta in una buca stradale è l’art. 2051 del Codice civile: «Ciascuno è responsabile delle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito».

Nel nostro caso, il custode è indubbiamente l’Ente proprietario o gestore del tratto di strada in cui è avvenuto l’infortunio: questo soggetto, in quanto preposto per legge alla vigilanza, deve mantenere le cose custodite – quindi la strada e tutte le sue pertinenze, come i marciapiedi, i tombini e la banchina laterale – in buono stato di manutenzione e pulizia, per evitare che questi oggetti inerti diventino fonte di pericolo per i passanti.

Il caso fortuito

Solo il caso fortuito esime il custode dalla sua naturale e obbligata responsabilità risarcitoria per gli eventi dannosi provocati dalle cose mal custodite. Il caso fortuito è un evento anomalo ed eccezionale, dunque imprevedibile con la normale diligenza (ad esempio, un terremoto che apre una voragine).

Ma, secondo la giurisprudenza dominante, il caso fortuito può ravvisarsi anche in un fattore umano, e soprattutto nel comportamento sconsiderato e imprudente del pedone stesso, come, ad esempio, quando percorre la strada correndo, o con lo sguardo immerso nel display dello smartphone, dunque senza curarsi dei possibili pericoli.

In tali casi la fonte del danno, cioè la sua causa giuridica, non è la buca in cui si cade: essa è soltanto l’occasione del suo verificarsi, e ciò non può essere rimproverato all’incuria del custode, che non avrebbe potuto né prevedere né prevenire, con i dovuti accorgimenti, tale eventualità.

La prova liberatoria

La «prova liberatoria» della ricorrenza di un caso fortuito deve essere sempre dimostrata dal custode; altrimenti, se tale dimostrazione non è fornita dall’Ente proprietario della strada, su cui incombe il relativo onere probatorio, il risarcimento al danneggiato spetta. È proprio questo il punto su cui ha insistito la Corte di Cassazione nella innovativa sentenza che stiamo esaminando [1].

La Corte d’Appello aveva negato il risarcimento ai familiari eredi di un’anziana donna deceduta a seguito di una caduta in una buca mentre camminava per strada, perché nessun testimone aveva assistito direttamente all’episodio e dunque la dinamica dell’incidente non era del tutto chiara. Inoltre la caduta era avvenuta in pieno giorno, con buone condizioni di visibilità, e dunque la donna è stata ritenuta “colpevole” di non aver avvistato le «evidenti disconnessioni del ciglio stradale». Infine, la presenza della buca doveva esserle nota, perché abitava lì vicino, ad appena 300 metri dal luogo del fatto, e «percorreva periodicamente quel tragitto almeno due volte al giorno». Da tutto ciò i giudici d’appello avevano ravvisato il “caso fortuito” che, come abbiamo visto, esclude la responsabilità del custode.

La Suprema Corte è stata di diverso avviso e ha bocciato queste tesi dei giudici di merito, perché erano frutto delle loro elaborazioni anziché della prova positiva sulla sussistenza del caso fortuito, che toccava al custode (in quel caso, la Provincia) fornire. E non lo aveva fatto. Non vi era stata neppure la dimostrazione di un’eventuale imprudenza o negligenza della danneggiata, e quindi non si poteva desumere che la caduta avrebbe potuto essere evitata con una condotta diversa e più attenta da parte sua nel percorrere quella strada che era, obiettivamente, in cattive condizioni.

Come si prova il danno riportato nella caduta

Gli Ermellini hanno affermato che: «l’onere probatorio gravante sul danneggiato si sostanzia nella duplice dimostrazione dell’esistenza (ed entità) del danno e della sua derivazione causale dalla cosa, residuando, a carico del custode l’onere di dimostrare la ricorrenza del caso fortuito».

Quindi il danneggiato che chiede il risarcimento deve semplicemente fornire la prova dell’accaduto (quando, dove e come è caduto nella buca o a causa di un ostacolo similare, come un dislivello stradale) e quali danni ha riportato (ad esempio, fratture, ricoveri ospedalieri, invalidità permanente o inabilità temporanea). A questo punto la palla passa al custode, che se vuole evitare di risarcire tali danni deve – spiega il Collegio – «fornire la prova liberatoria del caso fortuito, ossia di un elemento esterno che valga ad elidere il nesso causale e che può essere costituito da un fatto naturale e dal fatto di un terzo o della stessa vittima»; tale principio è stato affermato anche da una recente sentenza delle Sezioni Unite [2].

La colpa del danneggiato

Cosa dire a proposito della condotta del danneggiato, al quale spesso di addebita la colpa di essere stato distratto, imprudente, disattento nel percorrere la strada? Rileva oppure no, e se sì quanto incide sull’ammontare del risarcimento? A tal proposito la sentenza osserva che: «Al cospetto dell’art. 2051 c.c., la condotta del danneggiato può rilevare unicamente nella misura in cui valga ad integrare il caso fortuito, ossia presenti caratteri tali da sovrapporsi al modo di essere della cosa e da porsi essa stessa all’origine del danno; al riguardo, deve pertanto ritenersi che, ove il danno consegua alla interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l’agire umano, non basti a escludere il nesso causale fra la cosa e il danno la condotta colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una cesura rispetto alla serie causale riconducibile alla cosa (degradandola al rango di mera occasione dell’evento di danno)».

Venendo al concreto, gli Ermellini sottolineano che: «nel caso specifico della caduta del pedone in corrispondenza di una buca stradale, non può evidentemente sostenersi che la stessa sia imprevedibile (rientrando nel notorio che la sconnessione possa determinare la caduta del passante) e imprevenibile (sussistendo, di norma, la possibilità di rimuovere il dislivello o, almeno, di segnalarlo adeguatamente); deve allora ritenersi che il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non sia idoneo a interrompere il nesso causale, che è manifestamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla (prevedibile e prevenibile) interazione fra la condizione pericolosa della cosa e l’agire umano».

Buca come insidia o trabocchetto

In sostanza, seguendo la linea interpretativa della Cassazione, per le cadute di pedoni in buche o dislivelli stradali la responsabilità risarcitoria ricade sul custode della strada, se non riesce a dimostrare un’ipotesi di caso fortuito «senza che rilevino altri elementi, quali il fatto che la cosa avesse o meno natura “insidiosa” o la circostanza che l’insidia fosse o meno percepibile ed evitabile da parte del danneggiato».

Con questa innovativa pronuncia tramonta, quindi, il criterio dell’insidia (o trabocchetto): una nozione che non promana dalla legge, ma è stata elaborata dalla giurisprudenza per porre un freno alle richieste risarcitorie avanzate nei confronti dei Comuni. Questo indirizzo interpretativo – che la nuova sentenza della Cassazione ha superato – escludeva il risarcimento quanto più la buca o la sconnessione presente sulla strada fosse percepibile, e dunque prevenibile, da parte del pedone (un criterio analogo a quello utilizzato per i danni a veicoli che durante la marcia cadono in una buca stradale e rompono, ad esempio, pneumatici, cerchioni e sospensioni: se il conducente durante la marcia poteva avvistare la buca, niente risarcimento).

La Corte, però, adesso avverte che le eventuali condotte incaute e imprudenti del pedone possono valere a ridurre il risarcimento, per il concorso di colpa del danneggiato, e in casi estremi a escluderlo totalmente «per i danni che l’attore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza», come dispone l’art. 1227 del Codice civile (che è applicabile anche in materia di illecito extracontrattuale [3]). Quindi in linea di principio il diritto al risarcimento del danno verrà riconosciuto, ma il concorso di colpa del pedone disattento potrà ridurne l’ammontare, sino ad azzerarlo del tutto in caso di grave e inescusabile negligenza. Ma non era certo questo il caso dell’anziana donna caduta in una buca vicino casa: per questo la Suprema Corte ha annullato la sentenza che le aveva negato il risarcimento e ha disposto il rinvio degli atti alla Corte d’Appello per riesaminare la vicenda alla stregua del principio di diritto che ora ti riportiamo.

Caduta in buca e risarcimento: il principio di diritto

Il principio di diritto enunciato dalla Cassazione al termine della sentenza che abbiamo commentato è il seguente: «Ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza di una sconnessione o buca stradale, la condotta colposa della vittima può valere a integrare il caso fortuito richiesto dall’art. 2051 c.c. soltanto se presenti caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, così da degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell’evento di danno; in difetto, tale condotta potrà -eventualmente- assumere rilevanza ai sensi dell’art. 1227, 1° o 2° co. c.c., ai fini della riduzione o dell’esclusione del risarcimento».

In conclusione, la formula base è: buca stradale + pedone che ci passa sopra = caduta. I danni fisici alla persona infortunata sono la conseguenza. Il nesso causale è evidente e – sottolinea la Cassazione – è «manifestamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla (prevedibile e prevenibile) interazione fra la condizione pericolosa della cosa e l’agire umano». A questo punto, se il custode della strada non dimostra la ricorrenza del caso fortuito, fornendo la prova liberatoria che è a suo carico, è obbligato a risarcire il danno, mentre l’eventuale colpa per imprudenza del pedone che non si è accorto dell’insidia presente sul manto stradale (quando avrebbe dovuto percepirla se avesse prestato più attenzione) può ridurre, o nei casi estremi azzerare del tutto, l’entità del risarcimento; ma queste conseguenze operano in fase di liquidazione, e non di riconoscimento della responsabilità del custode, che sussiste a monte per aver lasciato la strada in condizioni obiettivamente pericolose per i passanti.

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Pubblicato : 20 Dicembre 2022 10:15