forum

Patti di convivenza...
 
Notifiche
Cancella tutti

Patti di convivenza e accordi prematrimoniali: quali differenze?

1 Post
1 Utenti
0 Reactions
72 Visualizzazioni
(@paolo-remer)
Post: 1015
Famed Member Registered
Topic starter
 

Cosa possono prevedere i contratti stipulati tra conviventi di fatto o tra coniugi; quando può essere previsto il mantenimento se la coppia si scioglie.

A poco, in Italia, il numero delle coppie che vanno a convivere sta superando quello di coloro che si sposano. Il matrimonio perde appeal per numerosi fattori che non è il caso di sottolineare qui (motivi economici, dalla precarietà lavorativa alle spese nuziali; volontà di non impegnarsi in modo stabile e duraturo, ecc.) ma ciò che ci interessa è il regime giuridico, perché sia i conviventi sia gli sposi vorrebbero regolare sin dal principio i loro rapporti economici, per evitare incertezze se e quando il loro rapporto terminerà. A tal fine esistono, nei due rispettivi casi, i patti di convivenza e gli accordi prematrimoniali; ma ci sono importanti differenze tra l’uno e l’altro istituto, che è bene conoscere per evitare brutte sorprese, ritrovandosi in mano soltanto un’inutile carta straccia che non sarebbe possibile far valere in caso di necessità.

Convivenza e matrimonio: analogie e differenze

La convivenza di fatto è molto più della semplice coabitazione di due individui sotto il medesimo tetto, essendo caratterizzata da un rapporto affettivo tendenzialmente stabile, o comunque duraturo, durante il quale i conviventi assumono un tacito impegno di assistenza reciproca, sia dal punto di vista morale sia per quanto riguarda gli aspetti materiali.

La legge Cirinnà [1] definisce conviventi di fatto «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile». Per poter parlare di convivenza, quindi, occorre che vi sia un legame da cui nasca, consapevolmente da parte di entrambi, un progetto di vita in comune e una volontà dei due partner (che possono essere di diverso o del medesimo sesso) di sostenersi reciprocamente.

Queste caratteristiche presentano molte analogie con il matrimonio (al quale sono equiparate, dal 2016, le unioni civili), una forma di convivenza istituzionalizzata, che richiede una celebrazione dalla quale sorgono determinati, e vincolanti, effetti giuridici, e precisamente i diritti e i doveri reciproci tra i coniugi, descritti nell’articolo 143 del Codice civile. Ma i conviventi non hanno l’obbligo di fedeltà che, invece, caratterizza il matrimonio. Ed ancora, il matrimonio, dopo la celebrazione, viene registrato presso gli uffici anagrafici dello stato civile del Comune, mentre la convivenza di fatto nella medesima abitazione viene soltanto dichiarata al Comune (e da quel momento i due conviventi compaiono insieme nello stato di famiglia).

Da ciò deriva che la convivenza di fatto può essere sciolta liberamente e in qualsiasi momento, senza particolari formalità, mentre per porre fine al matrimonio occorre intraprendere la separazione e arrivare al divorzio, in modo da ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Dunque, la convivenza è molto più flessibile rispetto al matrimonio.

Il matrimonio offre più tutele previste direttamente dalla legge (basti pensare al fatto che il coniuge superstite acquisisce automaticamente i diritti successori, e gli spetta la quota di legittima) mentre la coppia convivente di fatto è più libera di autodeterminarsi, ma, proprio per evitare contrasti spiacevoli tra i partner, è possibile prevedere in anticipo le condizioni da rispettare nel caso in cui la situazione di convivenza, per qualsiasi motivo, finisca. Invece questa possibilità di regolare i propri assetti futuri per i coniugi è molto più limitata: lo constateremo fra poco, quando parleremo degli accordi prematrimoniali ed emergeranno le significative differenze rispetto ai patti di convivenza.

Solo per i figli nati dal rapporto di coppia non vi sono differenze tra matrimonio e convivenza: lo status dei figli di conviventi è perfettamente equiparato a quello dei figli nati all’interno del matrimonio (da tempo è scomparsa l’antica distinzione tra figli legittimi e figli naturali), e i doveri dei genitori nei loro confronti sono gli stessi.

Patti di convivenza: a cosa servono e quando si usano

I patti di convivenza sono degli accordi presi volontariamente da due conviventi di fatto per regolare i loro rapporti patrimoniali. Sono dei veri e propri contratti, che in genere si stipulano all’inizio della convivenza, o durante il suo corso, e richiedono l’assenso di entrambi i membri della coppia per essere validi ed efficaci.

Lo scopo del patto di convivenza è quello di pianificare in anticipo i vari aspetti patrimoniali del rapporto; le clausole più importanti e frequenti che vengono inserite riguardano:

  • l’apporto finanziario di ciascuno alle necessità di vita in comune;
  • le modalità concrete di tale contribuzione (ad esempio, un conto corrente cointestato sul quale far confluire i rispettivi compensi o stipendi, e consentire i prelievi al partner);
  • i criteri di suddivisione delle spese (acquisto di generi alimentari, mobili e accessori per la casa; bollette delle utenze, carburanti, manutenzione auto, ecc.)
  • la possibilità di mettere in comunione tra i due conviventi determinati beni (immobili, autovetture, imbarcazioni, ecc.) acquistati da uno solo di essi;
  • le condizioni di uso della casa adibita a residenza comune (che potrebbe essere di proprietà di uno o di entrambi i coniugi, oppure in affitto);
  • l’assegnazione della casa familiare ad un convivente, se la coppia ha avuto figli ed essi sono minorenni nel momento in cui la convivenza tra i loro genitori finisce;
  • l’attribuzione di una quota di eredità ad un convivente in caso di decesso dell’altro (ma occorre sempre un testamento, che è un atto unilaterale del singolo convivente);
  • l’assistenza sanitaria e post mortem (ad esempio, le decisioni sul funerale e sulla donazione degli organi);
  • la regolamentazione dei diritti e degli obblighi patrimoniali in caso di cessazione della convivenza, e tra queste condizioni può rientrare la previsione di un assegno di mantenimento in favore del convivente meno abbiente.

Il patto di convivenza deve essere stipulato per iscritto, in forma di scrittura privata autenticata o, se si preferisce, di atto pubblico notarile: l‘intervento del notaio – o di un avvocato – è opportuno per ottenere consulenza sulle condizioni da inserire, personalizzare le clausole, garantire una migliore protezione legale e curare gli adempimenti di registrazione che assicurano all’atto certezza della data e del contenuto. Per saperne di più sull’argomento, leggi la nostra guida pratica: “Come fare un contratto di convivenza” e, per risolvere i dubbi più comuni, l’articolo: “Perché stipulare un contratto di convivenza?“.

Fine convivenza: c’è mantenimento?

Tra conviventi di fatto non c’è un obbligo di mantenimento reciproco; perciò, se la convivenza finisce, il più abbiente della coppia non è tenuto a versare un assegno al suo ex partner.

Tuttavia, se le parti avevano stipulato un patto di convivenza, potrebbe esserci un accordo che impegna uno dei due ad erogare una determinata somma – una tantum, o periodica – in caso di cessazione della convivenza: così l’obbligo di mantenimento c’è, in quanto è sorto su base volontaria.

In tal caso il dovere di mantenimento ha una evidente base contrattuale, e, se non viene rispettato dal soggetto obbligato, il beneficiario può agire contro di lui, instaurando una causa civile per ottenere, in via giudiziaria, l’adempimento della prestazione economica che la controparte si era impegnata a fornire.

In altre parole e concludendo sul punto: il convivente, anche quando è privo di mezzi economici adeguati, non vanta un diritto al mantenimento derivante dalla legge, come invece accade nel matrimonio e nelle unioni civili, sia pure in presenza dei presupposti e requisiti necessari per ottenerlo: solo i patti di convivenza possono prevederlo e determinarne l’entità.

Accordi prematrimoniali

Gli accordi prematrimoniali sono i patti che i prossimi sposi stipulano per definire, anticipatamente, le conseguenze legali ed economiche della loro separazione e dell’eventuale divorzio.

In teoria, ci si potrebbe accordare sulla divisione dei beni, sull’affidamento dei figli ed anche sul mantenimento economico di uno dei due ex coniugi da parte dell’altro. Abbiamo detto che questo è possibile solo in teoria, perché in Italia (diversamente da quanto accade in molti altri Paesi) gli accordi prematrimoniali sono inefficaci: i diritti e i doveri derivanti dal matrimonio sono considerati indisponibili, cioè non negoziabili, e devono essere predeterminati dalla legge (in caso di disaccordo tra i coniugi sulla portata di tali obblighi, interviene il giudice).

La conseguenza è drastica: gli accordi prematrimoniali sono nulli, e pertanto – contrariamente a quanto accade per i patti di convivenza – non possono essere azionati legalmente per pretendere il rispetto delle condizioni che sono in essi contenute. Tanto vale, quindi, non stipularli, almeno per i matrimoni con effetti civili valevoli in Italia, e sino a quando questo severo regime non cambierà (esistono diverse proposte di legge per il riconoscimento giuridico degli accordi prematrimoniali, ma sinora nessuna di essa è stata approvata).

Intanto, c’è da dire che la giurisprudenza sta realizzando alcune significative aperture, riconoscendo una sia pur circoscritta validità agli accordi prematrimoniali quando non incidono sui diritti e doveri inderogabili nascenti dal matrimonio – e tra questi vi è pure quello del mantenimento a seguito della separazione e del divorzio – ma si limitano a regolare alcuni aspetti patrimoniali determinati, come:

  • il rimborso delle spese fatte da un coniuge per la realizzazione o l’acquisto di un immobile di proprietà dell’altro coniuge [2];
  • la restituzione di una somma che un coniuge aveva ricevuto in prestito dall’altro coniuge, in caso di separazione [3];
  • l’accordo sulla vendita della casa coniugale, con divisione del ricavato e pagamento del mutuo acceso per l’acquisto di una nuova casa familiare [4].

Per approfondire, leggi questi articoli: “In Italia esistono i patti prematrimoniali?” e: “Accordi prematrimoniali: perché non sono validi in Italia“.

 
Pubblicato : 16 Agosto 2024 08:00