Orario di lavoro: cosa vi rientra e cosa no
Limiti nell’arco della settimana, tempo tuta e vestizione, riposi e malattia, reperibilità, raduno e punto di raccolta, tempo impiegato per recarsi in sede.
Per orario di lavoro si intende qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia in sede, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni. Il lavoratore si trova, quindi, nella sfera tecnico-organizzativa del datore di lavoro e, pertanto, soggetto al suo potere direttivo. L’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali (i contratti collettivi possono stabilire una durata inferiore). L’orario settimanale non può in ogni caso superare le 48 ore comprensive dello straordinario per ogni periodo di 7 giorni, calcolato come media in un periodo non superiore a 4 mesi (nel calcolo della media non sono presi in considerazione i periodi di ferie annue e le assenze per malattia, infortunio e gravidanza). Mettendo tutto insieme, nell’orario di lavoro cosa vi rientra e cosa no?
Nel caso di lavoro subordinato, l’orario di lavoro non è solo il tempo che il dipendente spende nello svolgere le proprie mansioni, ma vi rientrano una serie di attività collaterali e, pertanto, retribuite come se fossero utilizzate nelle normali attività. Ai fini del raggiungimento dei limiti citati, quindi, occorre considerare anche i momenti:
- di pausa, tranne quelli regolamentati;
- di attesa non lavorata;
- di spostamento nell’ambito del luogo di lavoro.
In genere, rientrano nell’orario di lavoro i periodi in cui i dipendenti sono obbligati ad essere fisicamente presenti sul luogo indicato dal datore di lavoro ed a tenersi a disposizione di quest’ultimo per poter fornire la loro opera in caso di necessità [1].
La giurisprudenza ha analizzato una serie di circostanze concrete al fine di stabilire se si tratta o meno di orario di lavoro. Eccole qui di seguito.
Vestizione e svestizione (cosiddetto «tempo tuta»): è il caso in cui il datore di lavoro imponga ai propri dipendenti di indossare una divisa aziendale (l’esempio tipico è quello degli operatori sanitari che devono indossare e dismettere la divisa in azienda per ragioni igieniche).
In questo caso bisogna distinguere:
- se il datore di lavoro impone tempo e luogo di esecuzione dell’operazione di vestizione, il tempo a ciò necessario rientra nell’orario di lavoro e va retribuito [2];
- se la disciplina contrattuale consente al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa (anche a casa prima di recarsi al lavoro), la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento della prestazione lavorativa e come tale non va retribuita [3].
Per quanto riguarda il tempo impiegato dal luogo di raduno (cosiddetto «punto di raccolta», solitamente la sede legale o il magazzino) al luogo di lavoro (cantieri), anche in questo caso bisogna distinguere:
- se funzionale alla prestazione, viene considerato orario di lavoro e quindi va retribuito. Si pensi al caso dei lavoratori che debbano recarsi prima al magazzino per prendere un particolare mezzo di trasporto o gli strumenti aziendali e poi raggiungere i cantieri [4];
- se invece il lavoratore non ha bisogno di recarsi prima al magazzino per prendere strumenti e materiali, l’accesso al punto di raccolta non è considerato orario di lavoro, in quanto mera comodità per il lavoratore, che può raggiungere il cantiere anche con i propri mezzi [5].
Quanto alla reperibilità (ossia al tempo in cui un lavoratore si trova nella propria abitazione ma disponibile alla chiamata del datore in caso di necessità) essa non è considerata orario di lavoro [6]. Stesso discorso dicasi per i riposi intermedi.
In merito al tempo impiegato per recarsi al lavoro e per il ritorno, da sempre la giurisprudenza non lo ha considerato orario di lavoro, anche se sulla materia incide una recente sentenza della Corte di Giustizia UE che sembra travolgere questo concetto nei casi in cui il lavoratore svolta attività fuori dall’azienda, recandosi per esempio dai clienti o svolgendo attività di rappresentante.
Parimenti non è considerato orario di lavoro il tempo impiegato giornalmente dal lavoratore per raggiungere la sede di lavoro durante la trasferta.
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