Nuovo compagno nella casa familiare
Chi può vivere nella casa coniugale? L’ex moglie può portare il convivente nella casa dell’ex marito che le è stata assegnata dal giudice?
Come noto, dopo la separazione o il divorzio, il giudice assegna quella che prima era la casa familiare al genitore con cui i figli vanno abitualmente a vivere. Tale provvedimento può essere adottato anche nel caso di coppie di conviventi: non è infatti necessario che vi sia stato un matrimonio per poter disporre il diritto di abitazione in favore del genitore “collocatario” della prole.
Ma chi può vivere nella casa coniugale oltre ovviamente al coniuge assegnatario e ai figli? Ipotizzando che l’ex moglie ottenga il collocamento dei figli, può quest’ultima ospitare il nuovo compagno nella casa familiare? E, in caso affermativo, potrebbe invece l’ex marito pretendere dal convivente “estraneo” un canone per l’utilizzo dell’immobile?
La questione è stata già analizzata dalla giurisprudenza. Ecco le risposte fornite dai giudici a tali frequenti interrogativi.
A chi spetta la casa coniugale?
La casa familiare spetta al genitore presso cui vanno a vivere i figli. Per i minorenni, la decisione viene presa dal giudice (tenendo conto tuttavia della loro volontà). I maggiorenni possono scegliere invece autonomamente.
Tale provvedimento non viene preso per garantire un sostegno economico al genitore collocatario ma per garantire alla prole di non subire altri traumi, oltre al disgregamento del nucleo familiare, derivanti dal trasferimento. Il più delle volte, infatti, cambiare casa significa mutare una serie di abitudini: la scuola, le frequentazioni, i corsi pomeridiani, ecc.
Insomma, l’assegnazione della casa è un provvedimento a tutela dei figli e non già dei genitori.
Ecco perché il giudice non può disporre l’assegnazione della casa se la coppia non ha avuto figli o se questi sono già autonomi o, pur non essendolo, potrebbero esserlo (ad esempio per il raggiungimento dell’età di 30 anni, limite oltre il quale non spetta più l’assegno di mantenimento).
Come abbiamo anticipato in partenza, l’assegnazione della casa viene disposta non solo in favore delle coppie sposate, ma anche di quelle di conviventi, a patto sempre che abbiano figli non autonomi dal punto di vista economico. Proprio per questo è sempre meglio parlare di «casa familiare» e non già di «casa coniugale».
L’assegnazione spetta anche sulla casa in affitto. E lo stesso vale anche per la casa dei suoceri ricevuta in comodato gratuito: se infatti il comodato non è scritto e non contiene una data di scadenza, il giudice può assegnare l’immobile al genitore collocatario della prole.
Inoltre il diritto di assegnazione della casa familiare spetta anche quando l’assegnatario ha un proprio immobile, anche se questo non è dato in affitto ed è libero. La ragione di tale apparente ingiustizia risiede sempre nella finalità dell’istituto: proteggere i figli evitando loro il trasferimento.
Quando cessa l’assegnazione della casa?
L’assegnazione della casa cessa quando il coniuge a cui viene attribuito il diritto di abitazione e/o i figli vanno a vivere in un altro luogo. O quando i figli diventano autonomi. O quando i figli perdono il diritto al mantenimento (ad esempio perché, pur avendo finito il percorso formativo o avendo scelto di non proseguirlo, non si danno pena di trovare una collocazione lavorativa).
Qual è la casa familiare?
L’assegnazione può riguardare solo la «casa familiare» ossia quella ove il nucleo familiare viveva prima della separazione. Non può invece coinvolgere altri immobili come, ad esempio, la seconda casa o quella a uso investimento. Il diritto di abitazione ha ragione d’esistere solo nell’immobile ove, prima della separazione, i figli vivevano. E ciò proprio perché è per garantire a questi ultimi di continuare a crescere nello stesso habitat domestico che si provvede all’assegnazione della casa. Dunque il giudice non potrebbe mai assegnare all’ex moglie la casa al mare o in montagna.
Per non lasciare la casa all’ex coniuge bisognerebbe quindi vivere in un altro immobile, ad esempio, in affitto.
Chi può vivere nella casa familiare?
Nella casa familiare assegnata dal giudice al genitore “collocatario” della prole, può vivere innanzitutto quest’ultimo insieme ai figli. Ma può anche andare a vivere un’altra persona da questi ospitata: ad esempio i suoi genitori (ossia i nonni dei figli) oppure il nuovo partner del genitore collocatario.
Ad esempio l’ex moglie potrebbe ospitare il nuovo compagno convivente nella casa familiare, senza peraltro che l’ex marito possa imporre a quest’ultimo il pagamento di un canone per l’occupazione dell’immobile. Così ha di recente chiarito la Corte di Appello di Milano [1], ma l’orientamento è condiviso da tutti i giudici.
Il proprietario non assegnatario non è legittimato a domandare una indennità di occupazione al convivente more uxorio del coniuge assegnatario della casa, viene precisato nella sentenza in commento.
L’assegnazione della casa familiare comporta la sottrazione del bene al godimento del proprietario non affidatario della prole, opponibile anche terzi, e limita conseguentemente anche la facoltà del proprietario di disporre del proprio bene.
Fintanto che sussiste l’assegnazione della casa familiare all’ex coniuge collocatario della prole, l’altro non ha alcun diritto di chiedere e pretendere il pagamento dal terzo convivente (nel caso di specie, convivente dell’ex moglie) di alcuna indennità di occupazione. Inoltre, la richiesta di indennizzo è altresì infondata atteso che nessun pregiudizio economico è derivato al richiedente dall’avvio della convivenza, né può essere ricondotta alla nuova convivenza alcuna diminuzione patrimoniale subita. Infatti, la privazione del godimento dell’immobile in comproprietà trova la sua causa giustificatrice nell’attribuzione del diritto di utilizzo esclusivo al coniuge collocatario dei figli minorenni.
Approfondimenti
L’ex moglie può vivere nella casa col nuovo compagno?
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