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Nullità del matrimonio per la chiesa: limiti e condizioni

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(@angelo-greco)
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Dopo tre anni di convivenza, la Corte d’Appello non può più convalidare la sentenza del tribunale ecclesiastico (Sacra Rota) che ha annullato il matrimonio.

Per riconoscere effetti civili in Italia a una sentenza di nullità del matrimonio pronunciata da un tribunale ecclesiastico, uno o entrambi i coniugi devono presentare alla Corte d’Appello una domanda di “delibazione”. Si tratta di una declaratoria di validità che consente di annotare la sentenza nei registri dello stato civile e permette ai coniugi di riacquistare la libertà di stato.

Tuttavia, per ottenere questa sorta di “convalida” della sentenza di nullità del matrimonio per la chiesa ci sono limiti e condizioni da rispettare. Li vedremo qui di seguito alla luce di una recente pronuncia della Cassazione (sent. n. 28308/2023). Ma procediamo con ordine.

Cosa bisogna fare per annullare il matrimonio?

La sentenza emessa dalla cosiddetta “Sacra Rota”, ossia da un tribunale ecclesiastico, può avere valore anche all’interno dello Stato italiano e quindi essere annotata nei registri dello stato civile, facendo sì che il matrimonio non abbia effetti anche per la nostra legge. Tuttavia, a tal fine, è necessario presentare una domanda alla Corte d’Appello del Comune in cui è stato trascritto l’atto di matrimonio. Esso generalmente coincide con il Comune in cui le nozze sono state celebrate. La Corte d’Appello emette quella che si chiama “delibazione” che, appunto, è una sorta di convalida della pronuncia dei giudici ecclesiastici.

La domanda, che deve essere accompagnata dalla copia autentica della sentenza ecclesiastica di nullità, può essere presentata senza limiti di tempo:

  • da entrambi i coniugi, con ricorso che introduce un rito camerale semplificato;
  • da uno solo dei coniugi con atto di citazione cui segue un ordinario processo di cognizione.

Condizioni per la delibazione della sentenza ecclesiastica

Non è automatico che la sentenza pronunciata dal tribunale ecclesiastico possa essere convalidata anche dallo Stato italiano. Se non lo fosse, essa avrebbe valore solo per la chiesa cattolica, ma non anche per la nostra legge, sicché la coppia che ha ottenuto la dichiarazione di nullità del matrimonio dalla Sacra Rota continuerebbe ad essere considerata sposata per lo Stato italiano. I coniugi dovrebbero allora ricorrere al divorzio civile, passando attraverso la previa separazione.

Vediamo allora le condizioni per la “delibazione”. La sentenza del tribunale ecclesiastico non può essere delibata quando:

  • contiene disposizioni contrarie all’ordine pubblico cioè alle regole fondamentali ed essenziali con le quali la Costituzione e le leggi italiane delineano il matrimonio.
  • è contraria a una sentenza italiana;
  • verte su un oggetto per il quale è in corso un giudizio tra i coniugi. È possibile delibare una sentenza ecclesiastica se tra i coniugi è in corso un giudizio di separazione personale davanti al giudice italiano: i due giudizi infatti hanno oggetti, ragioni e conseguenze giuridiche del tutto differenti.

La convivenza dopo il matrimonio

Tra i requisiti di rispetto dell’ordine pubblico vi è quello della convivenza. In particolare, secondo la Cassazione, non può essere delibata una sentenza ecclesiastica che abbia annullato il matrimonio se i coniugi hanno convissuto dopo il matrimonio per almeno 3 anni, a prescindere dal tipo di vizio che ha determinato la nullità del matrimonio.

Tuttavia, questa causa impeditiva può essere accertata dal giudice solo se vi è stata una esplicita richiesta di uno dei due coniugi (evidentemente da parte di quello che si oppone alla delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico). Pertanto, se tra i due coniugi vi è convergenza di intenti, sicché i due intendono ottenere la delibazione della sentenza ecclesiastica, il giudice non potrà negarla se si rende conto che la coppia ha convissuto per più di tre anni. Ci deve essere, insomma, sempre l’eccezione di parte; diversamente il limite della convivenza superiore a 3 anni non opera [1].

Del resto, anche l’azione di nullità del matrimonio presentata però al giudice civile italiano (non quindi a quello ecclesiastico) non può essere esercitata se i coniugi hanno convissuto per più di un anno.

In ogni caso, la convivenza triennale può essere messa in discussione se entrambi i coniugi considerano la convivenza una semplice coabitazione, senza quindi el caratteristiche tipiche della vita matrimoniale [2].

La continuità della convivenza

Per negare la delibazione non basta che la convivenza si sia prolungata per tre anni. È necessario che sia stata anche stabile e continuativa. Quindi si può convalidare la sentenza ecclesiastica se, nell’arco del triennio, i due coniugi si sono allontanati e non hanno vissuto insieme per periodi di tempo prolungati.

La riconoscibilità della convivenza

La delibazione della sentenza ecclesiastica può essere negata anche quando la convivenza coniugale, oltre a durare più di 3 anni, è riconoscibile all’esterno per mezzo di comportamenti inequivocabili.

Anche in questo caso, tale circostanza non può essere accertata dal giudice in assenza di una eccezione di parte.

I problemi sorti durante la convivenza sono rilevanti?

La Corte di Cassazione ha stabilito che se la convivenza tra i coniugi dura almeno tre anni, non è possibile riconoscere la nullità del matrimonio ecclesiastico in Italia anche se, durante la predetta convivenza, sono emersi problemi e la coppia ha litigato. Insomma, eventuali contrasti o incomprensioni intervenuti nel corso del triennio non possono essere presi in considerazione dal giudice per concedere la delibazione nonostante la convivenza triennale. Quel che conta è la durata della convivenza: se questa supera i tre anni, qualsiasi decisione del Tribunale ecclesiastico sulla nullità del matrimonio non sarà riconosciuta in Italia.

La decisione si fonda su un principio fondamentale: se la convivenza tra coniugi si protrae per almeno tre anni, ciò crea una “situazione giuridica di ordine pubblico italiano” che ostacola la dichiarazione di efficacia di una sentenza di nullità pronunciata da un Tribunale ecclesiastico.

Come viene interpretato il concetto di “convivenza coniugale”?

La convivenza come coniugi non significa necessariamente un matrimonio senza problemi. Essa non presuppone un rapporto sempre privo di conflitti. Ciò che è fondamentale è che il matrimonio sia stato celebrato, a meno che i coniugi non vivano in “una condizione di totale estraneità” senza alcun rapporto personale tra loro.

Perché sono irrilevanti i contrasti tra coniugi?

I contrasti e le incomprensioni nel rapporto coniugale sono naturali e non influiscono sulla validità del matrimonio. Quel che conta è che il matrimonio sia stato celebrato e la convivenza abbia superato i tre anni.

 
Pubblicato : 12 Ottobre 2023 12:00