Mantenimento non dovuto: va restituito?
Assegno di mantenimento e assegno di divorzio modificato e ridotto: è dovuta la restituzione delle somme pagate in precedenza?
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno finalmente risposto a una domanda che, da molto tempo, generava contrasti all’interno della giurisprudenza: l’assegno di mantenimento non dovuto va restituito? Per comprendere meglio l’importanza della pronuncia in commento [1] bisognerà partire da due esempi pratici.
Partiamo dal primo. Ipotizziamo il caso di una coppia di coniugi che, dopo diversi anni di matrimonio, decida di separarsi. In sede di prima udienza, il giudice assegna alla moglie, in via provvisoria e in attesa della sentenza definitiva, un assegno di mantenimento di 400 euro al mese. È la cosiddetta udienza presidenziale che, come da procedura, consente al coniuge più debole di affrontare le spese per il proprio sostentamento senza dover attendere l’esito del processo (per il quale potrebbe essere necessario attendere diversi anni). Senonché, al temine del giudizio, il tribunale riduce l’ammontare di tale assegno, stabilendo che il marito debba versare alla moglie solo 200 euro al mese. A quel punto, l’uomo chiede alla donna la restituzione di tutte le somme che le ha versato dal giorno dell’udienza presidenziale sino alla pubblicazione della sentenza. Lei si oppone, avendo ormai speso i soldi ma soprattutto avendoli – a suo dire – incassati legittimamente in forza di un provvedimento del giudice. Chi dei due ha ragione? Se l’assegno di mantenimento viene modificato, vanno restituite le somme nel frattempo incassate dal coniuge beneficiario?
Ed ora il secondo esempio. Lo stesso problema si pone anche in caso di impugnazione della sentenza di primo grado. Si pensi alla moglie che, dinanzi al tribunale, ottenga un mantenimento di 400 euro ma poi si veda ridurre tale importo, dalla Corte di Appello, a soli 200 euro. Anche in questo caso la domanda che si pone è la medesima: vanno restituite le somme nel frattempo versate a titolo di mantenimento (ossia quelle relative alle mensilità intercorrenti tra il giudizio di primo grado e quello di secondo grado)?
La questione si pone peraltro, nei medesimi termini, anche per l’assegno divorzile, quello cioè che, sostituendo l’assegno di mantenimento deciso in sede di separazione, scatta a partire dalla data del divorzio; ed anche per tutti i casi in cui il giudizio origini da una richiesta di revisione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento o divorzile, come spesso succede quando cambino le condizioni economiche delle parti nel tempo.
Ecco dunque qual è stata la soluzione offerta dalla Suprema Corte.
Ripetibilità dell’assegno di mantenimento
«Ripetibilità» è un termine spesso usato dai giuristi: sta a significare «restituzione». Quindi parlare di ripetibilità dell’assegno di mantenimento vuol dire riferirsi alla possibilità di chiedere indietro le somme versate per errore o in assenza dei presupposti di legge. È quindi “ripetibile” ad esempio un pagamento non dovuto.
Ritorniamo ora alla questione della eventuale restituzione (ossia della “ripetibilità”) dei soldi versati da un coniuge all’altro a seguito della separazione o del divorzio e della successiva modifica dell’importo dell’assegno di mantenimento.
Le Sezioni Unite della Cassazione non offrono una soluzione unitaria al problema e distinguono due diverse ipotesi:
- vanno restituite le somme versate a titolo di mantenimento quando il giudice escluda la sussistenza, sin dall’origine, del diritto a percepirle;
- non possono invece essere restituite le somme versate a titolo di mantenimento quando il giudice sottopone a un diverso giudizio le condizioni economiche del soggetto obbligato o dei bisogni del beneficiario e, a seguito di ciò, rimodula al ribasso gli importi dovuti.
La ragione di tale differenza di trattamento è molto semplice. Il primo caso si verifica quando viene a mancare del tutto lo stato di bisogno del coniuge beneficiario (si pensi a due coniugi che abbiano la medesima retribuzione, che magari viene accertata a seguito delle indagini tributarie svolte nel corso del processo); oppure quando il giudice accerta la sussistenza dei presupposti per l’addebito (ossia l’imputazione di responsabilità per la fine del matrimonio), cosa che accade, ad esempio, quando viene accertato un tradimento o l’abbandono del tetto coniugale. Anche in questo secondo caso, infatti, difetta all’origine il diritto a percepire l’assegno di mantenimento; difatti chi subisce l’addebito perde il diritto a chiedere qualsiasi sostegno economico, anche in caso di difficoltà economiche.
Divorzio: sì alla restituzione dell’assegno se mancano i presupposti
Al contrario, come detto sopra, il diritto a ripetere le somme versate a titolo di assegno di mantenimento (o di assegno divorzile) non sorge quando la rivalutazione riguarda le possibilità economiche del coniuge obbligato al mantenimento (si pensi al caso del marito che, nel corso della causa, riesca a dimostrare di dover sostenere numerose spese, come quelle per il mutuo, che non gli consentono di pagare un importo elevato a titolo di mantenimento) o quando tale importo viene rimodulato dal giudice in relazione ai più contenuti bisogni economici del coniuge beneficiario.
Le motivazioni tecniche della Cassazione sulla restituzione delle somme versate a titolo di mantenimento
Per la Cassazione non esiste, nel nostro ordinamento, una norma che sancisca l’irripetibilità dell’assegno alimentare provvisoriamente disposto a favore dell’alimentando. Bisogna mediare le esigenze di un coniuge e quelle dell’altro tenendo in particolare conto quelle della parte economicamente più debole.
Non si tratta dunque certamente di dettare una regola di «automatica irripetibilità» delle prestazioni rese in esecuzione di obblighi di mantenimento”, ma piuttosto di operare un “necessario bilanciamento” a tutela del soggetto che sia stato riconosciuto “parte debole nel rapporto”. Si deve infatti ragionevolmente presumere, prosegue il ragionamento, che le maggiori somme versate “siano state comunque (in atto o in potenza) consumate, proprio per fini di sostentamento, dal coniuge debole”.
La Corte non arriva però fino a definire l’entità di questa somma, che è “necessariamente modesta”, ma che non essendo stata fissata “in maniera rigida” dal Legislatore richiede “una valutazione personalizzata” da parte del giudice di merito, considerate tutte le variabili del caso concreto: “la situazione personale e sociale del coniuge debole, le ragionevoli aspettative di tenore di vita ingenerate dal rapporto matrimoniale ovvero di non autosufficienza economica”.
Il principio di diritto delle Sezioni Unite della Cassazione in tema di ripetibilità dell’assegno di mantenimento o divorzile
Da qui l’affermazione del seguente principio di diritto:
«In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere:
- vanno restituiti gli importi versati in presenza di una rivalutazione della condizione del richiedente, ove si accerti l’insussistenza, sin dall’origine, dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile (pertanto opera la cosiddetta «condictio indebiti»);
- non vanno restituiti (e quindi non opera la «condictio indebiti») gli importi versati a titolo di mantenimento, sia se si procede ad una rivalutazione, con effetto retroattivo, «delle sole condizioni economiche del soggetto obbligato alla prestazione (con conseguente negazione integrale del mantenimento)», sia se viene effettuata (sotto il profilo invece quantitativo) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta.
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