Mamma istiga il figlio a dichiarare reati del padre: che reato è?
La differenza tra simulazione di reato e calunnia nel caso di illeciti endofamiliari.
In un interessante quanto triste caso giudiziario, una donna aveva persuaso il figlio a denunciare falsi abusi sessuali da parte del padre. In giurisprudenza si è posto il problema se tale condotta integri il reato di simulazione di reato o di calunnia. Naturalmente la medesima questione si può porre con riferimento anche ad altre ipotesi delittuose come, ad esempio, le violenze fisiche o psicologiche ai danni del minore.
Cosa succede dunque se la madre istiga il figlio a dichiarare reati del padre che tuttavia questi non ha mai commesso?
A detta della Cassazione [1], «ricorre la calunnia quando la falsa imputazione sia idonea, per modalità e circostanze sottese alla falsa attribuzione del fatto-reato, ad esprimere l’univoca riferibilità di questa ad una persona reale, determinata o determinabile» [2].
Invece, ricorre la simulazione di reato nel caso in cui «la falsa imputazione sia implicitamente, e non nominativamente, attribuita ad una qualsiasi delle persone fisiche aventi un interesse specifico alla consumazione del reato falsamente attribuito dall’imputato» [3].
La differenza, pertanto, è data dalla identificabilità o meno di chi viene accusato falsamente.
Secondo la Suprema Corte, nel caso in esame, è ravvisabile il reato di calunnia in forma indiretta. Infatti, quando «il reato viene riferito agli appartenenti ad un delimitato gruppo di persone, costituito da operatori e ospiti di una precisa comunità, in quanto tali agevolmente identificabili, non può dirsi che esso sia implicitamente ed innominativamente attribuito, come avviene nella simulazione di reato, in quanto vi è la lesione dell’interesse soggettivo individualizzato, presupposto del reato di calunnia che, in forza della falsa accusa, rende specifici i destinatari delle indagini».
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