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Licenziato per aver partecipato ad un concorso: quali conseguenze?

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(@adriano-spagnuolo-vigorita)
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Il datore, accortosi che un suo dipendente è candidato a tre selezioni pubbliche, lo licenzia: va condannato, o no?

Con l’inflazione ancora in atto ed il mancato adeguamento dei salari alla conseguente lievitazione che ha interessato i prezzi dei beni di primaria necessità, diversi lavoratori cercano – spesso non a torto – di virare sul cosiddetto «posto fisso», tale da intendersi un impiego nelle Amministrazioni Pubbliche.

Questo, però, fa storcere il naso ai titolari delle aziende private, i quali, identificandosi sovente in coloro che permettono ai loro subalterni di uscire dalla miseria, tendono ad apostrofare costoro come «irriconoscenti».

Ma a quali conseguenze andrà incontro il datore qualora gli balzi in mente di licenziare il dipendente dopo essersi accorto che quest’ultimo risulta candidato ad uno o più concorsi?

Il lavoro dipendente: quali doveri per le parti? 

Sebbene il vigente Codice Civile affondi le proprie radici in piena epoca fascista, esso ha subito, nel corso dei lustri, una serie di modifiche ed adattamenti, specie in virtù del graduale evolversi della società: ecco spiegato il motivo per cui tale da  raccolta normativa si nota lapalissianamente il nesso inscindibile tra il diritto e la vita d’ogni giorno.

Rifacendosi alla realtà maggiormente diffusa all’epoca della sua entrata in vigore, ovverosia quella imprenditoriale, il Codice (v. art. 2094 c.c.) traccia i connotati del prestatore di lavoro – e, indirettamente, quelli del datore -, definendo tale quel soggetto che, dietro corrispettivo (la retribuzione), si obbliga a svolgere una determinata attività alle dipendenze e sotto la direzione di un’altra persona (sia essa un privato, un’azienda od una Pubblica Amministrazione).

La Costituzione Italiana, in virtù del principio di solidarietà di cui all’art. 2, contiene una serie di previsioni tese a preservare la dignità di chi va a guadagnarsi il pane: tra queste, la più pregnante è rappresentata fuor di dubbio dall’art. 36 Cost., a ove è espressamente stabilito che il soggetto in questione ha diritto ad una retribuzione che sia proporzionata tanto alla qualità, quanto alla quantità del lavoro prestato in favore d’altri, cosicché questi, unitamente alla sua famiglia, possa vivere dignitosamente.

Leggendo in combinato disposto la statuizione richiamata poco fa e l’art. 2094 c.c., risulta più che agevole avvedersi che il contratto di lavoro è sinallagmatico (cioè, è a prestazioni corrispettive): infatti, se, da una parte, il lavoratore deve impegnarsi al massimo nello svolgimento della prestazione, dall’altro il soggetto «forte» è tenuto non solo a retribuirlo, ma anche a salvaguardarne l’integrità fisica e la dignità morale.

Cos’è l’obbligo di fedeltà?

In primo luogo, chi s’impegna a lavorare per altri deve ottemperare all’obbligo di fedeltà, il quale, secondo l’articolo 2105 del Codice Civile, si sostanzia nell’astensione, da parte del prestatore, dal trattare – anche per conto di soggetti terzi – affari in concorrenza con l’azienda ove presta servizio, nonché dal diffondere notizie riservate della stessa: esemplificando, se la giovane Ilaria lavora come sarta presso l’Atelier delle Spose di Alfa, ella non potrà mai impiegarsi (finanche nel tempo libero) in seno all’omologa Beta, né tantomeno riferire al titolare di quest’ultima informazioni «top secret» inerenti all’organizzazione ed ai metodi produttivi della prima.

Qualora il prestatore dovesse venir meno a tale obbligo, il datore non solo potrà applicargli una sanzione disciplinare (che può identificarsi, nei casi di maggior gravità, nel licenziamento per giusta causa) [1], ma – nella sola ipotesi di divulgazione di determinate informazioni che arrechi danno all’azienda – sarà altresì legittimato a sporgere denunzia a suo carico, ai sensi del combinato disposto degli artt. 621, 622, 623 del Codice Penale [2].

Il dipendente di un’azienda privata può essere licenziato perché partecipa ai concorsi? 

Alla luce del disposto ex art. 2105 c.c., si può affermare con assoluta certezza che, qualora il lavoratore – specialmente se a tempo parziale – decida di mettersi di buona lena a prepararsi per le selezioni pubbliche, giammai potrà essere espulso dall’azienda ove presta servizio: difatti, il licenziamento eventualmente irrogatagli avrebbe natura ritorsiva, poiché – come da ultimo puntualizzato dalla Suprema Corte [3] – sarebbe null’altro che la reazione (o, volendo usare un termine a tecnico, la ripicca) ad un suo comportamento più che lecito.

 
Pubblicato : 28 Gennaio 2024 09:04