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Licenziamento: si può ritrattare il verbale di conciliazione?

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(@angelo-greco)
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Il dipendente che accetta una conciliazione ci può ripensare se è stato raggirato?

La sentenza della Cassazione n. 8260/17 si occupa della possibilità di annullare un verbale di conciliazione sottoscritto da un lavoratore quando è stato ingannato dal suo datore di lavoro. Questo articolo mira a chiarire le circostanze in cui, in caso di licenziamento, si può ritirare il verbale di conciliazione. Il dipendente può cioè ripesarci alla luce di una più attenta riconsiderazione delle circostanze e di nuove informazioni acquisite in un momento successivo.

Quando è annullabile il verbale di conciliazione in caso di licenziamento?

La sentenza della Cassazione ha stabilito che è possibile annullare un verbale di conciliazione se il datore di lavoro ha agito con inganno, prima asserendo che la risoluzione del rapporto di lavoro è stata determinata da crisi aziendale ma poi assumendo un altro dipendente per la stessa posizione precedentemente dichiarata in esubero.

Dunque, il datore che “strappa” la firma del dipendente all’accordo, anche se dinanzi ai sindacati (la cosiddetta “sede protetta”), non può poi ritenersi completamente al sicuro e agire come vuole. Se, in un momento successivo, dovessero rivelarsi le prove dell’illegittimità della risoluzione del contratto di lavoro, il lavoratore avrebbe comunque la possibilità di ricorrere al giudice per impugnare il licenziamento basato su motivazioni false.

Qual è stato il caso specifico esaminato dalla Cassazione?

La sentenza riguardava un lavoratore che, dopo aver firmato un verbale di conciliazione per licenziamento, aveva scoperto che l’ex datore di lavoro aveva assunto un altro impiegato per la sua stessa posizione.

La Cassazione ha ritenuto che il comportamento del datore di lavoro potesse costituire un raggiro, in quanto aveva omesso informazioni importanti che avrebbero potuto influenzare la decisione del lavoratore di firmare il verbale.

Quando sono validi gli accordi tra dipendente e datore di lavoro?

È bene precisare che ogni accordo tra datore di lavoro e dipendente, quando ha ad oggetto la rinuncia di quest’ultimo a diritti fondamentali come, ad esempio, lo stipendio, i riposi e l’impugnazione del licenziamento devono avvenire in sede protetta ossia alternativamente dinanzi ai sindacati oppure all’Ispettorato territoriale del lavoro.

Quindi l’eventuale atto di transazione stilato e firmato autonomamente dalle due parti non avrebbe alcun valore atteso che, per la giurisprudenza, i diritti del dipendente sono indisponibili senza l’assistenza di tali soggetti preposti alla sua tutela. Si può infatti presumere che il lavoratore possa firmare un atto di conciliazione solo perché “costretto” dalla necessità.

L’importanza della sentenza della Cassazione appena citata è però quella di evidenziare che anche la conciliazione conclusa in sede protetta può comunque essere “ritirata” se è stata il frutto di un inganno per non aver il datore di lavoro chiarito la verità dei fatti.

In questi casi si può parlare di dolo omissivo, situazione che si verifica quando il datore di lavoro non comunica circostanze rilevanti, influenzando così ingannevolmente la decisione del dipendente. Questo può costituire un raggiro e rendere annullabile il verbale di conciliazione.

Qual è stata la conclusione della Cassazione?

La Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, affermando che il silenzio malizioso del datore di lavoro costituisce un raggiro. Di conseguenza, ha annullato la sentenza precedente e rinviato il caso per un nuovo giudizio.

 
Pubblicato : 23 Novembre 2023 13:45