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Licenziamento ritorsivo: le sentenze

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(@paolo-florio)
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Licenziamento per ritorsione e onere della prova: quando è possibile contestare la decisione del datore di lavoro.

In tema di lavoro subordinato e licenziamento ritorsivo, laddove vengano in considerazione profili discriminatori o ritorsivi nel comportamento datoriale, il giudice deve tenerne conto senza distinguere tra accertamento della giusta causa e quello avente ad oggetto la verifica della volontà datoriale. Pertanto, ove risulti che la condotta del datore di lavoro sia univocamente motivata da un intento ritorsivo o discriminatorio nei confronti del lavoratore è illegittimo il licenziamento disposto quale conseguenza del cumulo di pluralità di sanzioni, tanto più in assenza di addebiti idonei a giustificare, di per sé, il recesso. Trib. Roma, sez. lav., 24 giugno 2016,  n. 4517

Qualora il lavoratore, impugnato il licenziamento, agisca in giudizio deducendo il motivo discriminatorio o ritorsivo, l’eventuale difetto di giusta causa, pur ricavabile da circostanze di fatto allegate, integra un ulteriore, e non già compreso, motivo di illegittimità del recesso, come tale non rilevabile d’ufficio dal giudice e neppure configurabile come mera diversa qualificazione giuridica della domanda. (In applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di appello, che aveva escluso la natura discriminatoria del licenziamento di un dipendente di un ente locale poiché il recesso era stato intimato per sanzionare non il suo orientamento sessuale ma l’asserito discredito apportato all’ente datore di lavoro dall’attività di prostituzione, posta in essere dal lavoratore ed ampiamente pubblicizzata su siti internet).

Cass. 22 giugno 2016, n. 12898

Quando è impugnabile il licenziamento ritorsivo 

Per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento, in quanto fondato su motivo illecito, occorre che l’intento ritorsivo datoriale, il cui onere è a carico del lavoratore, abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, dovendosi escludere la necessità di procedere a un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni che hanno causato il recesso, ossia quelle riconducibili a una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento. 

Leggi la differenza tra licenziamento ritorsivo e discriminatorio

Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 26395 del 7 settembre 2022

Il licenziamento ritorsivo costituisce un’ipotesi di recesso illegittimo che per sussistere deve risultare insussistente il motivo apparente posto a base del licenziamento. Il motivo illecito addotto ex art. 1345 cod.civ. deve essere determinante (e quindi costituire l’unica effettiva ragione di recesso), ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale. Il giudice, a fronte dell’impugnazione di un licenziamentoformalmente giustificato, deve dapprima accertare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo che, se provati, rendono superfluo l’ulteriore accertamento del carattere ritorsivo del licenziamento.

Tribunale , Cuneo , sez. I , 04/08/2022 , n. 93

Licenziamento ritorsivo e motivazione

Nel licenziamento ritorsivo, che si risolve in un’ingiusta e arbitraria reazione del datore – essenzialmente, quindi, di natura vendicativa – a un comportamento legittimo del lavoratore e inerente a diritti a lui derivanti dal rapporto di lavoro o a questo comunque connessi, l’onere della prova della sussistenza di un motivo di ritorsione e del suo carattere determinante la volontà negoziale, grava sul lavoratore che lo deduce in giudizio. Trattandosi di una prova spesso difficile da fornire, il lavoratore può giovarsi anche di presunzioni tra le quali, non secondaria, la dimostrazione della inesistenza del diverso motivo addotto a giustificazione del licenziamento o di alcun motivo ragionevole. 

Tribunale di Bergamo, sezione lavoro, sentenza 484 del 15 settembre 2022

Licenziamento ritorsivo e onere della prova

Pur essendo onerato il lavoratore di provare il carattere ritorsivo del licenziamento, il giudice di merito può valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati, per escludere il giustificato motivo oggettivo, nel caso in cui questi elementi, da soli o in concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso. 

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sentenza del 15 novembre 2021

Per affermare il carattere ritorsivo e, quindi, la nullità del provvedimento espulsivo, in quanto fondato su un motivo illecito, occorre specificamente dimostrare, con onere a carico del lavoratore, che l’intento discriminatorio e di rappresaglia per l’attività svolta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro. Dal punto di vista probatorio l’onere ricade sul lavoratore e può essere assolto anche mediante presunzioni, con la dimostrazione di elementi specifici, tali da far ritenere con sufficiente certezza il motivo ritorsivo. 

Cassazione civile, sezione lavoro, ordinanza 21465 del 6 luglio 2022

La natura ritorsiva o punitiva del licenziamento può essere accertata arche sulla base di una prova per presunzioni, in relazione alla quale i requisiti di idoneità, gravità e concordanza possono ritenersi sussistenti allorché il fatto ignoto sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile e verosimile, secondo regole di comune esperienza.

Cass. 27 febbraio 2012, n. 2958.

L’onere della prova del carattere ritorsivo del licenziamento è alquanto complesso e grava sul lavoratore, che può assolverlo con la dimostrazione di elementi specifici tali da far ritenere, con sufficiente certezza, l’intento di rappresaglia, dovendo tale intento aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro.

Pertanto, nelle controversie in cui sia fatta valere la ritorsione come motivazione del provvedimento espulsivo, il datore di lavoro dovrà necessariamente provare la giusta causa o il giustificato motivo di licenziamento addotto e, solo nel caso in cui tale prova non sia raggiunta, il giudice potrà valutare i fatti allegati dal lavoratore per dimostrare la rappresaglia.

Si assiste invece a una inversione dell’onere probatorio nel caso in cui il lavoratore rivendichi il carattere ritorsivo del licenziamento irrogato in seguito a una segnalazione di whistle blowing. In tale occasione, infatti, sarà il datore di lavoro a dover dimostrare non solo la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo oggettivo posti a fondamento del licenziamento ma anche che quest’ultimo sia fondato su ragioni estranee alla segnalazione. In ogni caso, l’accertamento del motivo illecito deve logicamente seguire l’avvenuta esclusione da parte del giudice del motivo addotto a sostegno del licenziamento.

Proprio per venire incontro alle difficoltà di prova del lavoratore, la Cassazione nella sentenza 28398 del29 settembre 2022, ha ritenuto legittimo l’uso di registrazioni di conversazioni tra colleghi di lavoro.

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Pubblicato : 12 Gennaio 2023 14:00