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Licenziamento per giusta causa e prassi aziendale

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(@valentina-azzini)
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Non integra giusta causa di licenziamento il comportamento del lavoratore che segue una prassi aziendale condivisa dai superiori

Ad un caporeparto di supermercato viene contestato di aver acquistato per se stesso della merce in scadenza, applicando autonomamente uno sconto sulla stessa; oppure ad un dipendente viene contestata l’assenza ingiustificata dal lavoro, nonostante lo stesso non si fosse presentato in quanto convinto di essere in ferie, a seguito di regolare richiesta non confermata dal datore. In questi come molti altri casi, si può essere passibili di licenziamento per giusta causa per aver tenuto un comportamento o seguito una certa procedura che, fino a quel momento, erano sempre stati accettati e condivisi dall’azienda e seguiti da tutto il personale o da una buona parte di esso. La giurisprudenza più recente hai approfondito quale sia il rapporto tra licenziamento per giusta causa e prassi aziendale, evidenziando che un comportamento condiviso per diverso tempo dai vertici aziendali, non può improvvisamente essere ritenuto dagli stessi contrario ai doveri del lavoratore e motivo di licenziamento per giusta causa. Vediamo perché.

Il licenziamento per giusta causa

La giusta causa di licenziamento sussiste quando un dipendente commette un fatto contrario ai propri doveri, di gravità tale da rendere impossibile la prosecuzione anche solo temporanea del rapporto di lavoro. Si tratta dunque di un licenziamento con effetto immediato senza preavviso e di carattere disciplinare.
In quanto licenziamento disciplinare e dunque massima sanzione irrogabile al dipendente che vìoli i propri doveri, esso deve essere necessariamente preceduto dall’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del lavoratore.

Il procedimento disciplinare prende avvio mediante tempestiva comunicazione al lavoratore di una contestazione di addebito disciplinare, la quale deve contenere l’indicazione specifica del comportamento contestato, delle norme di legge, di contratto collettivo e di regolamento aziendale che si ritengono violate, nonché l’indicazione di un termine non inferiore a cinque giorni (o al maggior termine stabilito dal CCNL di categoria applicato al rapporto) entro il quale il lavoratore deve fornire le proprie giustificazioni. Decorso tale termine e ritenute non accoglibili le giustificazioni del lavoratore, questo potrà essere sanzionato mediante applicazione di una delle sanzioni tassativamente previste dal CCNL di categoria, in proporzione alla gravità del fatto addebitato. Il licenziamento per giusta causa rappresenta pertanto la sanzione più grave applicabile.

La prassi aziendale

La prassi o uso aziendale è un comportamento del datore di lavoro, costante e reiterato nel tempo, volto a disciplinare il rapporto di lavoro di tutti i propri dipendenti, prevedendo nei loro confronti un particolare trattamento di miglior favore. La prassi aziendale può consistere nel concedere qualcosa che solitamente sarebbe vietato, oppure nel semplificare determinate procedure a favore dei dipendenti, rendendole più snelle.

Si pensi a determinati benefici economici concessi ai lavoratori e non previsti dal CCNL applicato rapporto, oppure ad una procedura semplificata per richiedere le ferie le quali si ritengono autorizzate anche senza conferma espressa da parte dell’azienda, o ancora alla possibilità dei lavoratori di acquistare prodotti aziendali a prezzi agevolati, a determinate condizioni, e senza chiedere l’autorizzazione ai propri superiori.

Affinché si configuri un uso aziendale, il comportamento del datore di lavoro deve essere:

  • favorevole e vantaggioso per i dipendenti
  • spontaneo e dunque non previsto da contratti collettivi o accordi individuali
  • protratto nel tempo in modo tale da ingenerare un legittimo affidamento in capo ai lavoratori sulla continuità della concessione datoriale
  • essere applicato a tutti i dipendenti dell’azienda oppure, in casi eccezionali, a uno o più settori aziendali

La tutela a fronte dell’ illegittimo licenziamento

Proprio per gli elementi che lo caratterizzano, l’uso aziendale non può improvvisamente e unilateralmente essere revocato dal datore di lavoro, in particolare con riferimento solo a uno o ad una parte dei propri dipendenti. Di conseguenza, il licenziamento per giusta causa fondato su un comportamento che fino a quel momento aveva carattere di prassi uso aziendale deve considerarsi illegittimo per insussistenza del fatto contestato. Il comportamento oggetto di contestazione, infatti, si presume sia stato tenuto dal dipendente sulla base del legittimo affidamento nel fatto che quella condotta fosse generalmente accettata e condivisa per lungo tempo dall’azienda.

L’insussistenza del fatto contestato determina pertanto la mancanza di illiceità della condotta tenuta dal lavoratore e quindi la nullità del licenziamento irrogatogli. Ciò significa che il lavoratore dovrà essere reintegrato nel posto di lavoro, oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione utile al calcolo del TFR, corrispondente al periodo dal giorno dei licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e, in ogni caso, non superiore a dodici mensilità, oltre al versamento dei corrispondenti contributi previdenziali.

Per retribuzione utile al calcolo del TFR deve intendersi la retribuzione base, maggiorata dei ratei delle mensilità supplementari.

 
Pubblicato : 27 Gennaio 2024 12:15