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Licenziamento illegittimo: quando c’è la reintegra

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(@angelo-greco)
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Nuove sentenze hanno cambiato il panorama del licenziamento illegittimo e della reintegrazione. Scopriamo insieme le ultime novità giuridiche.

Nel momento in cui il giudice dichiara illegittimo il licenziamento intimato dal datore di lavoro è chiamato a decidere, sulla base delle norme di legge, se al dipendente spetti la restituzione del suo precedente posto (la cosiddetta «reintegra») o solo un risarcimento.

Il Job Act aveva previsto quest’ultima soluzione come la regola e la prima come eccezione. Ma una serie di interventi della Corte Costituzionale, dichiarando illegittime le norme, ha ribaltato la situazione. Vediamo dunque, alla luce di tali pronunce, quando c’è la reintegra in caso di licenziamento illegittimo. Cercheremo di spiegare quali sono le conseguenze per il dipendente che, nei termini di legge, impugni il licenziamento e ottenga una sentenza favorevole.

Cosa significa reintegra?

Secondo la giurisprudenza, quando un licenziamento viene ritenuto illegittimo e il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore, quest’ultimo deve essere reinserito nel suo posto di lavoro originale. Tale circostanza è definita «reintegra» o anche «tutela reale» (per distinguerla dalla «tutela risarcitoria» costituita invece dal risarcimento del danno).

La reintegra del lavoratore deve avvenire con riferimento alle medesime mansioni e alla stessa posizione lavorativa che aveva maturato prima del licenziamento. Non importa quindi se, nel frattempo, il datore ha sostituito il lavoratore licenziato con un altro. Non è ammesso né il cambio mansioni, né il trasferimentopresso altra sede. Non è neanche consentita una modifica dell’orario di lavoro.

Maggiori approfondimenti in Come si applica la reintegra.

Licenziamento disciplinare illegittimo: quando c’è reintegra

Iniziamo dai casi del licenziamento disciplinare ossia quello per violazioni del datore di lavoro. Sia che si tratti di licenziamento per giusta causa (ossia licenziamento disciplinare in tronco, senza preavviso) che di licenziamento per giustificato motivo soggettivo (ossia licenziamento disciplinare con preavviso).

Il riformato articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori stabilisce che, in caso di licenziamento disciplinare, il dipendente abbia diritto alla reintegra solo quando questa è prevista dal Contratto Collettivo Nazionale o dal codice disciplinare come conseguenza e rimedio nel caso in cui detto licenziamento venga dichiarato dal giudice illegittimo.

Era necessario che il CCNL o il codice disciplinare individuassero in modo specifico l’inadempimento a cui si ricollegava la sanzione conservativa.

Nel 2022, la Corte di Cassazione ha reinterpretato tale formulazione; in particolare, le sentenze 11665/2022 e 20780/2022 hanno stabilito che un lavoratore può essere reintegrato anche in caso di inadempimenti descritti dai contratti collettivi con clausole generali o elastiche come «lieve irregolarità» o «negligenza grave».

Non è necessario, in altri termini, che il contratto collettivo individui la condotta inadempiente nei suoi tratti distintivi e particolari, perché la clausola generale consente al giudice di ricomprendervi il fatto contestato attraverso una valutazione di minore o maggiore gravità della condotta.

Si tratta di un radicale mutamento. Prima infatti la reintegra era riservata solo ai licenziamenti irrogati rispetto a inadempimenti disciplinari specificamente e analiticamente tipizzati dalla contrattazione collettiva.

Un secondo caso di reintegra in caso di licenziamento disciplinare è quando il fatto contestato risulta inesistente, ossia quando, a seguito dell’istruttoria, emerge che la condotta contestata al lavoratore non è stata da questi mai commessa.

Una terza ipotesi in cui spetta la restituzione del posto di lavoro è quando la condotta incriminata non costituisce illecito disciplinare (si pensi a un lavoratore costretto ad abbandonare il posto di lavoro senza avvisare il datore per via di una forza maggiore).

Licenziamento economico illegittimo: quando c’è reintegra

Vediamo ora quando spetta la reintegra nel caso di licenziamento per ragioni economiche, collegate all’organizzazione o alla produzione, anche detto licenziamento per giustificato motivo oggettivo (vi rientra anche il licenziamento del lavoratore divenuto disabile).

Come nel caso di licenziamento disciplinare, la reintegra spetta innanzitutto nel caso di insussistenza del fatto dedotto a motivo di licenziamento. Si pensi al datore di lavoro che intima un licenziamento per una crisi e riduzione del personale quando invece i bilanci dimostrano tutt’altro o quando, dopo poche settimane dal licenziamento, viene assunto un nuovo lavoratore con le medesime mansioni.

La Cassazione quindi ha detto che l’unica opzione data al giudice in caso di «insussistenza del fatto» alla base del licenziamento consiste nella sanzione della reintegrazione in servizio, senza alcuno spazio per considerazioni sulla non eccessiva onerosità del rimedio (sentenza 16975/2022).

Peraltro la norma inizialmente parlava di «manifesta» insussistenza del fatto Questo aggettivo è stato poi cancellato dalla Corte Costituzionale, sicché oggi le ipotesi di reintegra si allargano ulteriormente.

Requisiti dimensionali

La Cassazione ha esteso la tutela reintegratoria alle imprese che non hanno i requisiti dimensionali previsti dallo Statuto dei lavoratori, quando ad essere violate sono le previsioni sul periodo di comporto. Il principio espresso in sentenza (27334/2022) è che, ai fini della tutela reale, il requisito dimensionale non conta se il licenziamento è stato intimato senza che sia stato effettivamente superato il periodo massimo di malattia.

Per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la sentenza 16975/2022 ha stabilito che, in caso di illegittimità, l’unica sanzione possibile è la reintegrazione in servizio, escludendo la tutela esclusivamente economica.

Reintegra per licenziamento nullo

La reintegra è poi la regola nel caso di licenziamento nullo ossia:

  • licenziamento verbale (il licenziamento deve essere necessariamente scritto);
  • licenziamento ritorsivo ossia quello in conseguenza dell’esercizio di diritti da parte del dipendente (si pensi a chi fa sciopero, a chi agisce in giudizio, ecc.);
  • licenziamento discriminatorio, collegato cioè a una intervenuta disabilità o in ragione dell’orientamento politico, sessuale, religioso, sindacale.

Licenziamento illegittimo per ragioni di maternità, paternità o matrimonio

La reintegra è l’unica soluzione nel caso in cui il licenziamento venga intimato:

  • alla lavoratrice madre dall’inizio della gravidanza e sino al compimento di un anno di età del bambino. L’inizio della gestazione si presume avvenuto 300 giorni prima della data presunta del parto indicata nel certificato di gravidanza;
  • al lavoratore padre che fruisce del congedo di paternità, per la durata del congedo stesso e fino al compimento di un anno di età del bambino;
  • causato dalla domanda o dalla fruizione dell’astensione facoltativa e del congedo per malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore. Chiaramente queste regole non si applicano al licenziamento per crisi o per chiusura, al licenziamento per comportamento scorretto del dipendente (ossia per un motivo disciplinare) posto prima o durante la maternità;
  • dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio a un anno dopo le nozze. Diversamente, anche in questo caso, il licenziamento è nullo e il datore di lavoro è tenuto al reintegro sul posto.
 
Pubblicato : 16 Giugno 2023 06:50