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Licenziamento disciplinare: si può modificare la contestazione?

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(@angelo-greco)
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Principio di immutabilità del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo: la Cassazione spiega che il licenziamento disciplinare è valido se cambia solo la qualificazione del fatto, purché il fatto stesso rimanga invariato.

Il licenziamento disciplinare, quello cioè determinato da condotte gravemente colpevoli del dipendente, è regolamentato dallo Statuto dei lavoratori al fine di garantire al soggetto interessato l’esercizio del diritto di difesa. Pertanto la legge stabilisce l’obbligo di comunicare preventivamente al lavoratore l’avvio del procedimento disciplinare dandogli cinque giorni di tempo per presentare memorie a propria discolpa. Tale avviso deve essere scritto, tempestivo e soprattutto immutabile. Il datore non può cioè cambiare i motivi posti a fondamento della contestazione.

Tuttavia proprio il suddetto principio della “immutabilità della contestazione” può subire delle deroghe. E, proprio di recente, la Cassazione si è trovata a rispondere alla seguente domanda: in caso di licenziamento disciplinare si può modificare la contestazione? Cerchiamo di fare il punto della situazione alla luce delle istruzioni fornite proprio dalla Suprema Corte.

Fasi del procedimento di licenziamento

Prima del licenziamento occorre che siano rispettate le seguenti fasi procedurali:

  • contestazione scritta dell’addebito al dipendente;
  • concessione di un termine di 5 giorni per la presentazione di difese scritte e/o verbali;
  • valutazione delle giustificazioni fornite dal lavoratore (il quale può anche farsi assistere da un avvocato o un sindacalista);
  • audizione difensiva se richiesta dal lavoratore;
  • irrogazione del licenziamento o accoglimento delle giustificazioni.

Contestazione dell’addebito

Tutto il procedimento disciplinare parte dalla contestazione dell’addebito che il datore di lavoro muove nei confronti del dipendente.

Tale contestazione deve essere necessariamente scritta, non potendo essere verbale.

Inoltre deve essere tempestiva: non deve cioè decorrere troppo tempo dall’accertamento dei fatti, al fine di consentire al dipendente il reperimento delle prove a proprio favore. La tempestività viene valutata in termini relativi, in relazione alla difficoltà di indagine sulla condotta contestata, alla dimensione dell’azienda e alla sua organizzazione. In alcuni casi è stata ritenuta tempestiva la contestazione intervenuta alcuni mesi dopo l’illecito.

Infine la contestazione deve essere specifica e immutabile: ciò significa che i fatti addebitati devono essere individuati con sufficiente precisione, anche se sinteticamente, in modo che vi sia certezza sulle questioni per le quali il lavoratore è chiamato a difendersi.

Immutabilità della contestazione

Secondo la Cassazione [1], una volta contestati i fatti, l’azienda può comunque allegare, nel corso del procedimento disciplinare circostanze confermative o ulteriori prove, non significative e prive di valore identificativo della stessa fattispecie su cui il lavoratore possa controdedurre senza difficoltà.

Non è invece ammessa una modificazione sostanziale dei fatti oggetto della contestazione disciplinare se le nuove circostanze addebitate siano tali da comportare una valutazione di maggior gravità del comportamento contestato se i fatti originariamente addebitati appaiono insufficienti a giustificare il licenziamento.

Per modificare la contestazione è quindi necessario l’avvio di un nuovo procedimento disciplinare che presupponga circostanze di fatto nuove e diverse rispetto a quelle già contestate.

Un dipendente viene accusato di furto in azienda. Il datore non può, in seguito, cambiare l’accusa in “mancanza ingiustificata” se la base dei fatti rimane quella del furto.

La nuova visione della Cassazione

La Cassazione ha chiarito che, anche se cambia la “qualificazione” del fatto (ossia come viene etichettato), ma il fatto in sé rimane invariato, il licenziamento disciplinare è valido. La violazione del principio di immutabilità avviene solo se vengono introdotte nuove circostanze che cambiano la percezione originale dei fatti.

Se un dipendente viene accusato di “grave insubordinazione” e poi licenziato per “rissa sul luogo di lavoro”, ma la base del fatto è la stessa (ad esempio, una lite con un collega), il licenziamento è legittimo.

Il caso pratico esaminato dalla Cassazione

Un dipendente di una cooperativa edilizia ha prima rifiutato un ordine di servizio e poi ha aggredito i responsabili, portando all’intervento delle forze dell’ordine. Inizialmente, gli è stato contestato un tipo di licenziamento e poi ne è stato applicato un altro. Ma, dato che l’addebito principale (l’aggressione) è rimasto invariato, il licenziamento è stato considerato valido.

Se un dipendente rifiuta un ordine e poi, nello stesso contesto, ha un comportamento violento, il licenziamento può essere giustificato sia per il rifiuto dell’ordine sia per la violenza, purché la base dei fatti non cambi.

 
Pubblicato : 8 Settembre 2023 15:00