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Lavoro straordinario oltre i limiti: c’è risarcimento?

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(@paolo-remer)
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La maggiorazione retributiva non basta a compensare i danni; come si calcola il danno da usura psicofisica alla salute del lavoratore e quale prova occorre fornire.

Il riposo è un diritto irrinunciabile del lavoratore, così come le ferie. Lo dice l’art. 36 della Costituzione, lo ribadiscono le direttive dell’Unione Europea [1] e lo confermano tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro, che individuano anche i limiti massimi di ore lavorative giornaliere, settimanali e mensili per ogni categoria e comparto d’impiego. In linea di principio, quindi, le cose sono chiare e sono tutti d’accordo; ma in concreto, nella nostra epoca della produttività a tutti i costi, dove i diritti dei lavoratori passano in secondo piano, queste prescrizioni non vengono rispettate. Spesso succede che molti dipendenti svolgono ore di lavoro straordinario oltre i limiti. C’è risarcimento dei danni per queste situazioni che violano la legge ed i contratti collettivi di lavoro?

La maggiore retribuzione esclude il risarcimento?

Stiamo parlando di un fenomeno che va ben oltre la semplice retribuzione spettante per le attività prestate oltre l’orario lavorativo normale, e che per legge deve essere maggiorata. Il risarcimento, infatti, deriva dalla commissione di un fatto illecito, che consiste nella richiesta al lavoratore dipendente subordinato di svolgere prestazioni lavorative eccedenti l’orario massimo fissato dalla legge e specificato nei contratti collettivi.

Una recente sentenza del tribunale di Milano [2] ha stabilito che il datore di lavoro deve risarcire il dipendente che ha lavorato senza fruire dei riposi e per un orario giornaliero eccedente i limiti legali anche se la prestazione è stata retribuita. È stata, così, respinta la tesi del datore di lavoro, che sosteneva di aver corrisposto al lavoratore (commesso in un supermercato) una maggiorazione retributiva anche per gli straordinari svolti nelle giornate festive.

Il dipendente aveva provato in giudizio di aver lavorato, in un rapporto di lavoro durato 8 mesi, per 15 ore al giorno, fruendo solo  di una pausa di mezz’ora. I giudici milanesi hanno sottolineato che la mancata fruizione del riposo giornaliero e settimanale costituisce una fonte di danno patrimoniale che va riconosciuto al lavoratore anche quando aveva beneficiato di un compenso in più per le ore svolte e per le festività.

Qual è il limite del lavoro straordinario?

Per legge, in caso di lavoro a tempo pieno svolto su 40 ore settimanali il limite del lavoro straordinario è di 8 ore settimanali e di 250 ore annuali.  Il superamento del limite settimanale, però, va rapportato alla media di periodo stabilito dalla contrattazione collettiva, non in base ad una singola settimana; in genere, i Ccnl considerano un arco di tempo compreso fra 4 e 6 mesi, che può arrivare a 12 mesi in presenza di eccezionali ragioni organizzative e produttive. Te ne parliamo più ampiamente nell’articolo: “Quante ore di straordinario si possono fare per legge?“.

Quali sono i danni provocati dallo straordinario eccessivo?

Il risarcimento del lavoro straordinario eccessivo riguarda molteplici aspetti: sono compresi anche i danni morali dovuti alla sofferenza interiore e quelli esistenziali, tra i quali rientra la la compensazione economica del tempo libero perduto, che il lavoratore non ha potuto dedicare alla propria famiglia o alle sue attività personali. La voce risarcitoria che incide di più consiste nei danni alla salute causati dall’impegno lavorativo eccessivo ed assorbente e dallo stress prolungato che ne deriva ed ha indubbie conseguenze negative sull’organismo umano. Il superlavoro provoca il grave esaurimento nervoso chiamato burnout e numerose malattie, dall’infarto agli ictus, per citare le più comuni, ed anche conseguenze negative a livello psicologico, come ansia, depressione e disturbi psichiatrici.

Troppi straordinari? Il lavoratore deve essere risarcito

È evidente che la maggiorazione retributiva riconosciuta dal datore di lavoro per le ore in più di straordinario prestato ed eccedenti i limiti legali non vale a compensare questi disagi e patologie. Neanche il consenso del lavoratore può eliminare l’illiceità del fatto. Insomma: il danno c’è e deve essere risarcito. Esiste, anzi, una particolare categoria in cui inserire queste compromissioni della salute che devono essere indennizzate a livello monetario dal datore di lavoro che ha preteso prestazioni di lavoro straordinario oltre gli orari legali: è il “danno da usura psicofisica“, che la giurisprudenza riconosce al lavoratore colpito, attribuendogli un adeguato ristoro patrimoniale che viene liquidato, come avviene in questi casi, in via equitativa dal giudice.

Danno da troppo lavoro straordinario: come si quantifica?

Abbiamo visto che la violazione delle norme sui riposi e sugli straordinari può avere pesanti riflessi negativi sulla salute dei dipendenti costretti a lavorare oltre i limiti legali. La giurisprudenza della Corte di Cassazione [3] riconosce che in questi casi il danno patrimoniale va riconosciuto in base ad una semplice presunzione, che scaturisce direttamente dalla constatazione delle violazioni commesse dal datore di lavoro quando ha negato i riposi spettanti ai dipendenti ed ha preteso da loro lo svolgimento di ore di straordinario oltre i limiti.

Quindi non occorre una specifica e concreta dimostrazione dei pregiudizi patrimoniali subiti, fermo restando che è necessario provare gli eventuali danni diversi ed ulteriori, come quelli di natura non patrimoniale. Ad esempio, nella vicenda decisa dal tribunale di Milano il commesso che aveva svolto, per un periodo protratto, l’eccessivo lavoro straordinario, senza riposi e con pause insufficienti, è stato risarcito con liquidazione equitativa, e la quantificazione del danno è avvenuta adottando come parametro di riferimento il contratto collettivo applicabile (Ccnl Commercio e Terziario), nella misura del 16% della retribuzione  base ordinaria per tutto il periodo di svolgimento del rapporto. Quanto agli ulteriori danni non patrimoniali, la sentenza sottolinea le «scarse allegazioni sul punto offerte dal ricorso», vale a dire la mancanza di prova da parte del lavoratore di ulteriori pregiudizi specifici; altrimenti il risarcimento avrebbe potuto essere più consistente.

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Pubblicato : 2 Novembre 2022 07:00