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Lavoratore depresso: il licenziamento è legittimo?

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(@maria-monteleone)
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Il datore di lavoro, prima di licenziare il dipendente depresso, deve verificare la possibilità di trasferirlo o ricollocarlo in azienda.

La depressione è un disturbo psichico classificabile come vera e propria malattia. Essa pertanto giustifica l’assenza dal lavoro. Durante tale assenza il dipendente ha diritto alla conservazione del posto: non può cioè essere licenziato, a meno che non superi il cosiddetto periodo di comporto (ossia la durata massima della malattia, nel corso dell’anno, per come prevista dal contratto collettivo).

Ciò nonostante residuano delle ipotesi in cui è legittimo il licenziamento del lavoratore depresso. Cerchiamo di fare il punto della situazione in merito.

Ci si può assentare dal lavoro per depressione?

Come per tutte le malattie, anche in caso di depressione è legittima l’assenza dal lavoro a patto che il dipendente si faccia rilasciare immediatamente un certificato medicocomprovante tale patologia e rimanga a casa durante gli orari di reperibilità per la visita fiscale dell’Inps.

Il certificato dovrà indicare il termine per la convalescenza ferma la possibilità di rinnovare lo stesso se, all’esito della scadenza della malattia, il dipendente non dovesse essere ancora guarito.

Quanto tempo ci si può assentare dal lavoro per depressione?

Fermo l’utilizzo di eventuali congedi previsti dal contratto collettivo, il dipendente può assentarsi per depressione finché non superi il limite de giorni di malattia indicati dal suo CCNL. Questo limite è chiamato periodo di comporto. Un solo giorno in più di assenza può giustificare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con l’obbligo del preavviso.

Cosa può fare il dipendente assente dal lavoro per depressione?

È obbligo del dipendente assente per malattia di non pregiudicare la rapida convalescenza. Dunque, fermo l’obbligo di restare a casa ai fini della visita fiscale, nella restante parte della giornata la sua condotta non può pregiudicare le condizioni di salute che lo affliggono. Tanto per fare un esempio, chi ha inviato un certificato medico per lombosciatalgia non può poi farsi trovare a lavorare nel giardino di casa.

Invece, con riferimento alla depressione, la giurisprudenza è stata più “larga di maniche”, atteso che si tratta di uno stato psicologico che, al contrario, potrebbe essere ben curato con attività esterne all’abitazione. Così, ad esempio, è stato detto che non può essere licenziato il lavoratore che si assenti per patologia depressiva e venga sorpreso a svolgere lavori in favore proprio o di terzi (C. App. Roma, sent. 1072/2020). Infatti in casi del genere, il tipo di malattia da cui è affetto il lavoratore è di natura tale da non comportare la permanenza assoluta del lavoratore presso la propria abitazione né da precludergli lo svolgimento di attività e movimenti fisici di bassa intensità e durata o il dispiego di energie psichiche di rilievo.

Sarebbe quindi altrettanto compatibile una passeggiata lungo la riva di un lago o al mare che potrebbe, piuttosto che pregiudicare la convalescenza, agevolarla. Come anticipato però il dipendente ha comunque l’obbligo di farsi trovare a casa negli orari della visita fiscale.

E se il dipendente è assente ingiustificato?

Con una sentenza del 2015 (n. 4171/15) la Suprema Corte ha detto che, in presenza di una grave forma di depressione che limiti le capacità mentali del lavoratore e incida, in maniera significativa, sul suo comportamento, la mancata giustificazione per la prolungata assenza dal lavoro deve essere valutata in maniera meno gravosa da parte del datore. Il licenziamento, in tal caso, risulterebbe una sanzione sproporzionata.

Nella specie, la Corte ha dichiarato illegittimo il licenziamento irrogato ad un lavoratore che si era assentato dal lavoro senza giustificazione, atteso che la sindrome depressiva da cui era affetto ne aveva fortemente limitato le capacità naturali.

Si può licenziare un dipendente divenuto inabile al lavoro per depressione?

Nel caso in cui il dipendente con sindrome depressiva rientri al lavoro e, in ragione di tale patologia, subisca una notevole compromissione della propria produttività, il datore di lavoro può licenziarlo solo se non sussiste altro modo per ricollocarlo. È la sintesi del pensiero della Cassazione (sent. n. 2720 del 23 febbraio 2012) riguardo al caso di una dipendente depressa con improvvisi scatti d’ira e aggressività sul luogo di lavoro.

Secondo i giudici della Corte, posta la delicatezza della situazione, affinché il licenziamento possa essere valido sono necessarie due condizioni:

  • lo stato psicologico del lavoratore deve essere talmente grave da mettere a rischio la sicurezza dei colleghi e/o dei beni aziendali;
  • non vi devono essere soluzioni alternative per mantenere il dipendente in azienda (per es. trasferimento o spostamento ad altre mansioni). Bisogna cioè verificare prima se vi sia la possibilità del cosiddetto repêchage.

Se queste condizioni vengono rispettate è possibile il licenziamento determinato dalla patologia sopravvenuta.

A cosa ha diritto il dipendente che si licenzia per depressione?

La risoluzione del rapporto di lavoro potrebbe tuttavia dipendere proprio dalla volontà del lavoratore. A cosa avrebbe diritto questi in tali casi? Non potrebbe né chiedere l’indennità sostitutiva del preavviso, né l’assegno di disoccupazione Naspi, non trattandosi infatti di dimissioni per giusta causa. Alla Naspi ha diritto solo chi viene licenziato, anche se per scarso rendimento.

 
Pubblicato : 12 Dicembre 2023 12:37