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La riunione in pausa pranzo va retribuita?

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(@valentina-azzini)
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Il tempo impiegato per partecipare alle riunioni deve considerarsi orario di lavoro, ordinario o straordinario, e come tale deve essere retribuito.

Il tuo datore ha deciso di organizzare delle riunioni per definire l’organizzazione del lavoro un giorno la settimana. In quell’orario magari tu non saresti in servizio e, dunque, ti chiedi se la riunione in pausa pranzo va retribuita. Devi sapere che le riunioni di lavoro debbono essere organizzate durante l’orario di lavoro, o comunque se indette durante le ore di pausa debbono essere comunque remunerate, in questo caso come ore di lavoro straordinario. Proprio nel caso in cui siano organizzate fuori del normale orario di lavoro, in quanto paragonabili al lavoro straordinario, potrai anche rifiutarti di presenziare. Vediamo allora nel dettaglio come sono disciplinati gli incontri lavorativi, quale potere di disposizione abbia il dipendente e come debba essere remunerato in tempo impiegato per presenziarvi.

L’orario di lavoro

L’orario di lavoro si può innanzitutto definire come il periodo di tempo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro con l’obbligo di svolgere le sue mansioni o comunque le attività che il datore gli assegna. Diversamente si parla si pausa o riposo.

L’orario normale di lavoro è stabilito dalla legge nella misura massima di 40 ore settimanali, salvo deroghe da parte dei CCNL di categoria, che possono prevedere un orario normale inferiore (ad es. il CCNL Autoscuole stabilisce la durata normale dell’orario di lavoro in 39 ore settimanali), oppure calcolato come media in un periodo plurisettimanale.

Dall’orario normale di lavoro si distingue l’orario di lavoro straordinario e cioè quello eccedente le 40 ore settimanali (o il diverso limite stabilito dalla contrattazione collettiva) e che, per espressa disposizione di legge, deve essere contenuto entro ben precisi limiti di durata, remunerato a parte e compensato con maggiorazioni retributive o ore di riposo. In particolare, l’orario di lavoro straordinario non può eccedere le 48 ore medie di lavoro alla settimana, nell’arco di 4 mesi e per un massimo di 250 ore all’anno.

Il lavoro straordinario è ammesso solo previo accordo tra datore e lavoratore, il quale ultimo può anche rifiutarsi di svolgere la propria prestazione oltre l’orario normale contrattualmente pattuito.

Vi sono tuttavia alcuni casi in cui lo straordinario è comunque ammesso a prescindere dalla volontà del lavoratore:

  • eccezionali esigenze tecnico – produttive, non fronteggiabili mediante l’assunzione di altri lavoratori;
  • casi di forza maggiore o tali per cui la mancata esecuzione di lavoro straordinario possa dar luogo a un pericolo grave e immediato, o un danno alle persone o alla produzione;
  • eventi particolari, come mostre, fiere e manifestazioni collegate all’attività produttiva, ovvero allestimento di prototipi o modelli predisposti per le stesse.

Le riunioni di lavoro

Le riunioni di lavoro, in quanto eventi durante i quali è richiesta la partecipazione dei dipendenti, per fini organizzativi, informativi, o formativi, debbono essere considerate a tutti gli effetti come rientranti nell’orario di lavoro. Il dipendente che vi partecipa, infatti, è a disposizione dell’azienda per tutto il tempo necessario al loro svolgimento.

Di conseguenza, se organizzate durante il normale orario di lavoro, esse dovranno essere remunerate come se il dipendente, nel corso della loro durata, avesse svolto le proprie ordinarie mansioni. Diversamente, se organizzate al di fuori dell’orario assegnato al lavoratore (ad esempio durante la pausa pranzo, oppure la sera a fine turno) dovranno considerarsi alla stregua del lavoro straordinario e la loro durata dovrà essere remunerata con le medesime maggiorazioni previste per il lavoro straordinario (e notturno se si protraessero oltre le ore 22.00).

In alternativa alle predette maggiorazioni, la partecipazione alle riunioni potrà essere compensata mediante la concessione di altrettante ore di riposo.

Qualora organizzate al di fuori dell’orario normale di lavoro, proprio come accade con il lavoro straordinario, il dipendente potrà altresì legittimamente rifiutarsi di partecipare.

Il c.d. “tempo tuta”

Questione dibattuta in giurisprudenza e dottrina è quella relativa al c.d “tempo tuta”, ossia al tempo necessario per indossare e togliere la divisa imposta dal datore di lavoro per lo svolgimento della prestazione lavorativa. Ci si chiede se detto tempo debba considerarsi o meno come orario di lavoro.

La Corte di Cassazione aveva nel tempo affermato l’esistenza di due ipotesi:

  • se il lavoratore riceve in dotazione gli indumenti di lavoro e può portarli a casa, andando così al lavoro con gli indumenti già indossati, il tempo tuta impiegato per la vestizione, non può essere considerato orario di lavoro;
  • se il lavoratore riceve in dotazione la divisa da lavoro con l’obbligo di tenerla e indossarla sul posto di lavoro,  il tempo necessario alla vestizione e svestizione rientra nel concetto di orario di lavoro e, in quanto tale, può essere computato e retribuito.

Il Ministero del Lavoro, con Interpello n. 1 del 23.03.2020 ha ribadito ufficialmente la medesima tesi, affermando che: “Ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo dove indossare la divisa (anche eventualmente presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro), la relativa operazione fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa, e come tale il tempo necessario per il suo compimento non deve essere retribuito. Se, invece, le modalità esecutive di detta operazione sono imposte dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione, l’operazione stessa rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito”.

 
Pubblicato : 1 Settembre 2023 07:30