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La prescrizione dei diritti del lavoratore

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(@valentina-azzini)
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Entro quanto tempo il lavoratore può far valere i propri diritti in tribunale: risarcimento del danno, stipendi arretrati e differenze retributive. Calcolo del termine di prescrizione per dipendenti pubblici e privati.

Solitamente, chi ha diritto a ricevere delle somme non tarda ad agire legalmente contro il debitore. Tuttavia, nell’ambito dei rapporti di lavoro, capita di frequente che il dipendente esiti o posticipi azioni legali nei confronti dell’azienda. Questo atteggiamento è spesso motivato dalla paura di possibili ritorsioni o licenziamenti.

Ecco perché la prescrizione dei diritti del lavoratore tiene conto di tale timore reverenziale e della frequente disponibilità del dipendente a concedere un ampio margine di tempo all’azienda per saldare gli arretrati.

Ciò nonostante la legge prevede pur sempre un termine ultimo entro cui agire contro il datore di lavoro. Questo termine è appunto chiamato “prescrizione”; la sua durata varia a seconda del diritto in contestazione.

In questo articolo vedremo qual è la prescrizione dei crediti del lavoratore dipendente del settore privato e pubblico: entro quanto tempo chiedere gli stipendi arretrati, le differenze retributive sulla busta paga, il Tfr, il risarcimento del danno per infortuni o per altri danni conseguenti al rapporto di lavoro. Ma procediamo con ordine.

Cos’è la prescrizione dei crediti lavorativi?

La prescrizione è il limite di tempo entro cui un dipendente può fare causa al datore di lavoro per rivendicare i propri crediti (come stipendi non pagati, indennità, straordinari, ecc.) nei confronti del datore di lavoro.

Se questo termine viene superato, il lavoratore perde la possibilità di richiedere legalmente il pagamento di quanto gli è dovuto. Nessun giudice, quindi, per quanto documentato possa essere il credito, gli potrà dare ragione.

Il problema della prescrizione assume caratteristiche diverse a seconda che il lavoratore sia impiegato nel settore privato o in quello pubblico. Come vedremo a breve, la differenza sostanziale riguarda il momento in cui inizia a decorrere il termine di prescrizione (di tanto ci occuperemo meglio dopo).

Quali crediti cadono in prescrizione?

Tutti i diritti relativi al rapporto di lavoro possono cadere in prescrizione. Ecco alcuni esempi:

  • stipendi non pagati;
  • differenze retributive, cioè la discrepanza tra lo stipendio ricevuto e quello previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL);
  • indennità, bonus e premi;
  • compenso per le festività non godute che cadono di domenica;
  • compensi relativi a ferie, permessi e mensilità aggiuntive, come la tredicesima e quattordicesima;
  • TFR, ovvero il Trattamento di Fine Rapporto;
  • aumenti tabellari a seguito di rinnovi del CCNL;
  • compenso dovuto a fronte del patto di non concorrenza;
  • risarcimento del danno per infortuni o per licenziamento illegittimo.

Qual è il termine di prescrizione dei crediti del lavoratore dipendente?

Generalmente, i crediti di un lavoratore dipendente si prescrivono in 5 anni. Questo significa che, trascorso questo periodo, il lavoratore perde la possibilità di richiedere in giudizio il pagamento di questi crediti e, di conseguenza, non può ottenere una sentenza che condanni il datore di lavoro a pagare.

In particolare, si prescrive in cinque anni il diritto per ottenere il pagamento dello stipendio, le differenze retributive, le indennità che spettano al lavoratore in occasione della cessazione del rapporto di lavoro quali, ad esempio, il TFR o l’indennità sostitutiva del preavviso.

Esistono tuttavia alcune eccezioni.

In particolare, la prescrizione è di 10 anni nei seguenti casi:

  • riconoscimento del diritto alla qualifica superiore [1];
  • crediti derivanti dal mancato pagamento dei contributi previdenziali [2]. In questo caso, la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il lavoratore avrebbe avuto diritto alla prestazione previdenziale, se i contributi fossero stati correttamente versati. Questo principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione nelle sentenze n. 6568 del 18 dicembre 1979 e n. 24768 del 25 novembre 2009;
  • risarcimenti del danno per licenziamento illegittimo, mancata fruizione di ferie o riposo settimanale, infortuni sul lavoro, demansionamento e, in generale, per la violazione da parte del datore degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro [3].

Con riguardo alla prescrizione dei diritti del lavoratore si parla altresì, in alcuni casi, di prescrizione presuntiva: si presume, cioè, secondo gli usi correnti, che determinati crediti spettanti al lavoratore, decorso un certo periodo di tempo, siano stati pagati. Si presumono quindi soddisfatti in:

La prescrizione è di 3 anni nei seguenti casi:

  • crediti relativi alle retribuzioni corrisposte per periodi superiori al mese (ad. esempio la tredicesima e la quattordicesima mensilità, i premi di produzione e le provvigioni) [4];

Infine la prescrizione è di 1 anno nei seguenti casi:

  • crediti relativi alle retribuzioni corrisposte per periodi non superiori al mese (ad esempio i compensi per lavoro straordinario, o le maggiorazioni per lavoro notturno) [5].

In queste ultime due ipotesi, sarà il lavoratore a dover provare il mancato pagamento del proprio credito. Altrimenti, se il datore di lavoro conferma di aver pagato (“eccepisce – si dice – la prescrizione presuntiva”), il lavoratore dovrà rinunciare alla propria pretesa. Nei fatti, però, nelle controversie di lavoro, l’uso di tale eccezione è particolarmente prudente, visto che la contestazione del rapporto da cui il credito deriva è certamente incompatibile con l’eccezione di prescrizione.

In altre parole, se il lavoratore sostiene di aver lavorato 10 ore al giorno e reclama il pagamento di differenze retributive per 2 ore giornaliere, il datore di lavoro, eccependo la prescrizione presuntiva, è, di fatto, costretto ad ammettere che il rapporto di lavoro è intervenuto così come descritto dal lavoratore: le 10 ore di lavoro diventano quindi acclarate e non più contestabili.

Quando inizia la prescrizione dei crediti di lavoro?

La prescrizione dei crediti di lavoro inizia in momenti diversi a seconda che si tratti del settore privato o pubblico:

  • nel settore privato, la prescrizione inizia dalla cessazione del rapporto di lavoro;
  • nel settore pubblico, inizia dal momento in cui il pagamento doveva essere eseguito, anche durante il rapporto di lavoro.

Analizziamo meglio queste due diverse ipotesi.

Prescrizione per i lavoratori del settore privato

Secondo una sentenza della Cassazione (n. 26246/20229), per i lavoratori privati, il termine di prescrizione quinquennale inizia a decorrere solo dopo la fine del rapporto di lavoro, indipendentemente dalle modalità di cessazione (licenziamento, dimissioni, risoluzione consensuale). Questo significa che un lavoratore può aspettare la fine del rapporto di lavoro prima di iniziare un’azione legale contro il datore di lavoro.

Questo approccio mira a proteggere i lavoratori dal timore di ritorsioni come licenziamenti o discriminazioni se decidono di far valere i loro diritti mentre sono ancora impiegati. Tuttavia, ciò può anche ridurre la tutela del datore di lavoro, che con il passare del tempo potrebbe perdere documentazioni o prove a suo favore, rendendo più difficile la sua difesa.

Ad esempio, un lavoratore che dopo trent’anni di servizio si accorge di errori nella busta paga può richiedere gli arretrati per l’intera durata del rapporto di lavoro, purché non siano trascorsi 5 anni dalla fine del contratto. In pratica, un lavoratore ancora in servizio potrebbe decidere di attendere la fine del rapporto per agire legalmente.

Prescrizione per i pubblici dipendenti

Nei rapporti di lavoro pubblico, la prescrizione quinquennale inizia a decorrere dal momento in cui il pagamento avrebbe dovuto essere effettuato. Ciò significa che, ad esempio, se uno stipendio è inferiore al dovuto, i cinque anni di prescrizione iniziano a calcolarsi dalla data in cui la retribuzione avrebbe dovuto essere pagata. Questa interpretazione è stata fornita dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 36197/2023).

La differenza di trattamento tra i settori privato e pubblico si basa sulla percezione che nel settore pubblico il “timore reverenziale” del dipendente verso il datore di lavoro sia minore. Questo è dovuto a un rapporto lavorativo meno diretto e a maggiori tutele contro comportamenti illegittimi da parte del datore di lavoro nel settore pubblico, riducendo così la necessità di attendere la fine del rapporto di lavoro per far valere i propri diritti.

Come può un lavoratore interrompere la prescrizione?

Il lavoratore (sia pubblico che privato) può interrompere la prescrizione azionando il proprio diritto. Tale interruzione fa sì che il conteggio del termine di prescrizione riparta da zero, permettendo al lavoratore di agire legalmente anche dopo molto tempo, evitando così che il credito cada in prescrizione.

Gli atti che possono interrompere la prescrizione sono:

  • l’invio di una lettera di diffida tramite raccomandata a.r. o di una PEC in cui si sollecita il pagamento. In questa comunicazione è importante specificare l’importo richiesto e la motivazione (ad esempio, differenze retributive, TFR, indennità, ecc.);
  • la notifica di un decreto ingiuntivo.
  • la notifica dell’atto di ricorso per iniziare un giudizio in tribunale, che non solo interrompe, ma sospende la prescrizione per tutta la durata del processo. Questo significa che, anche se la causa dura diversi anni, il credito non cade in prescrizione durante questo periodo.

Riconoscimento tacito del debito da parte del datore di lavoro

Un altro modo per interrompere la prescrizione è attraverso un riconoscimento tacito del debito da parte del datore di lavoro. Questo può avvenire, ad esempio, quando il datore di lavoro invia una lettera in cui chiede più tempo per effettuare il pagamento o propone una dilazione. Tale situazione si verifica spesso nel caso del Trattamento di Fine Rapporto (TFR).

 
Pubblicato : 25 Gennaio 2024 16:00