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La molestia sui social non è reato: ecco perché

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(@angelo-greco)
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La Cassazione, con la sentenza n. 40033 del 3 ottobre 2023, ha stabilito che non si può commettere molestia su Instagram e Facebook. Resta la possibilità di una querela per stalking.

La Cassazione ha recentemente fatto chiarezza riguardo alle molestie su piattaforme come Instagram e Facebook. Chi riceve messaggi indesiderati sui social potrebbe chiedersi: è possibile denunciare? La risposta, secondo la sentenza n. 40033/2023, è che i messaggi continui sui social non possono rientrare nel reato di molestie. Ma c’è un’importante precisazione: la condotta non diventa per questo impune, potendo essere punita come stalking.

Cerchiamo di comprendere meglio come stanno le cose.

Il reato di molestie

Il codice penale, all’articolo 660, disciplina il reato di molestie, prevedendo sanzioni per chi molesta altrui per petulanza o per altre ragioni biasimevoli. Queste molestie, però, devono manifestarsi in un luogo pubblico o attraverso l’uso del telefono.

L’evoluzione tecnologica ha cambiato la nostra percezione del “telefono”: da semplice strumento di comunicazione, è diventato mezzo per svolgere molteplici attività, compresa la messaggistica istantanea.

Invece la definizione originale di “molestia telefonica” nel codice penale risale al 1930, un’epoca in cui il telefono era usato solo per le chiamate. La molestia consisteva nel fatto che la vittima avvertisse il segnale acustico del telefono e non potesse sottrarsi ad esso. Per questo motivo, la molestia telefonica richiede ancora oggi – poiché la norma non è mai stata aggiornata – un’interazione immediata tra mittente e destinatario, dalla quale quest’ultimo non può sfuggire.

E ciò vale anche per sms e WhatsApp: anche qui il suono avverte la vittima del messaggio e quindi le procura quello stato di fastidio che è alla base del reato di molestie.

Questo non vale però per i social network. In tal caso i messaggi vengono letti in differita e, anche se ciò avviene con lo smartphone, la loro ricezione viene comunicata da un suono. Quindi manca quell’intrusione immediata nella vita della vittima che l’articolo 660 cod. pen. richiede.

La punizione dello stalking telefonico

Tuttavia, tale interpretazione restrittiva offerta dalla Cassazione al reato di molestie telefoniche non esime dalla responsabilità penale chi molesta tramite post o messaggi sui social network. Difatti se la condotta è reiterata e genera un senso di oppressione, potrebbe rientrare nel reato di stalking, disciplinato dall’articolo 612-bis del codice penale.

Per punire queste molestie sui social, è necessaria una prova che dimostri non solo la reiterazione ossessiva della condotta, ma anche un effetto tangibile sulla vittima, come: a) uno stato di ansia, b) un fondato timore per la sicurezza propria o di un convivente, c) un cambiamento delle abitudini di vita.

Insomma, oggi per punire le persecuzioni sui social ci vuole qualcosa in più che la semplice prova della reiterazione della condotta come poteva essere richiamando solo la norma sulle molestie.

Il principio sancito dalla Cassazione

Ribadiamo dunque il principio sancito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 40033/2023: non si configura il reato di molestia su Instagram e Facebook. La contravvenzione ex articolo 660 Cp, infatti, persegue le interferenze sgradite nella vita privata compiute «col mezzo del telefono» e comprende anche i messaggi telematici soltanto se c’è un’interazione immediata fra mittente e destinatario che la rende invasiva come la tradizionale chiamata attraverso la cornetta: nel caso dei social network, invece, è il destinatario che sceglie liberamente di attivare le notifiche dei messaggi in arrivo.

Conclusioni

In conclusione, anche se la legge attuale non considera la molestia sui social un reato in quanto tale, i comportamenti ripetuti e minacciosi potrebbero configurare il reato di stalking. È essenziale quindi che le vittime siano consapevoli dei loro diritti e dei mezzi legali a loro disposizione.

 
Pubblicato : 3 Ottobre 2023 19:11