Ingiuria: è reato se c’è minaccia?
Cosa significa che l’ingiuria è stata abrogata? Cosa succede se si dimostra che l’insulto è stato associato a un’intimidazione? Quando scatta la minaccia?
A partire dal 2016 l’ingiuria non è più un reato, con la conseguenza che non si potrà più essere sottoposti a processo in caso di insulti e oltraggi. Resta tuttavia l’illecito civile, per il quale è possibile chiedere solo il risarcimento del danno entro 5 anni dal fatto, con ulteriore applicazione, al termine della causa, di una sanzione economica nei confronti del colpevole (da pagare non in favore del danneggiato, ma alla Cassa statale delle Ammende). Ma cosa succede se l’ingiuria è accompagnata da una minaccia?
Si tratta invero di una condotta piuttosto frequente, in cui l’autore del fatto non si limita a insultare la vittima ma anche a spaventarla con avvertimenti intimidatori. “Ti ammazzo”, “Te la faccio pagare”, “Ti faccio vedere io”, “Più tardi facciamo i conti”: sono le classiche intimidazioni proferite nei confronti della persona offesa. Cosa succede se ingiurie e minacce sono dirette contemporaneamente alla vittima? È possibile sporgere denuncia?
Come funziona l’ingiuria?
Come anticipato in apertura, l’ingiuria è stata abrogata nel 2016 [1], con la conseguenza che tutti gli insulti non potranno più essere puniti in sede penale, mentre i processi già intrapresi per ingiurie verificatesi prima di quella data sono stati estinti. In pratica, l’ingiuria non è reato.
Tutto ciò non significa che l’ingiuria sia una condotta legale: semplicemente, da illecito penale è diventata un semplice illecito civile, che quindi può essere sanzionata solamente con un risarcimento dei danni
Per ottenere l’indennizzo è quindi necessario agire con un processo civile, peraltro con un onere della prova quasi impossibile quando il fatto è consumato in assenza di testimoni, attesa l’impossibilità per le parti, nel giudizio civile (a differenza di quanto avviene nel penale), di essere testimoni di sé stessi (leggi “Scompare l’ingiuria: impossibile punire le offese”).
La persona condannata per ingiuria in sede civile dovrà non solo risarcire i danni alla vittima ma anche pagare allo Stato una sanzione economica che va da 100 a 8mila euro.
La somma è aumentata da 200 a 12mila euro se l’ingiuria è consistita nell’attribuzione di un fatto determinato oppure è stata commessa in presenza di più persone (cosiddetta “ingiuria aggravata”).
Per ulteriori approfondimenti su questo specifico tema, si legga l’articolo dal titolo Ingiuria: come chiedere il risarcimento?
Ingiuria: cosa succede se c’è minaccia?
Un ultimo scampolo di tutela penale sussiste quando, insieme all’ingiuria, si consuma anche il diverso reato di minaccia. In tal caso, almeno per quest’ultimo illecito, resta la competenza del giudice penale.
Secondo la Corte di Cassazione [2] non ci sono dubbi: se insieme all’offesa vengono proferite frasi dal contenuto minaccioso nei confronti del soggetto ingiuriato, allora scatta la condanna penale.
Ciò non significa, però, che il responsabile verrà processato davanti al giudice penale per entrambi gli illeciti: per l’ingiuria, infatti, resta ferma la competenza del giudice civile.
In estrema sintesi, il reo potrà essere processato due volte:
- in sede penale per la minaccia;
- in sede civile per l’ingiuria.
Quando c’è reato di minaccia?
A questo punto è necessario verificare con attenzione quando, nelle parole di chi ingiuria, è possibile anche rinvenire gli estremi della minaccia.
Poiché quello di minaccia è reato di pericolo, è necessario che la minaccia – da valutarsi in relazione alle concrete circostanze del fatto – sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, a prescindere poi se il turbamento psichico si verifichi effettivamente.
Non è, pertanto, necessario che la persona offesa si senta intimidita ed è irrilevante anche che il male minacciato sia indeterminato e non preciso, purché questo sia ingiusto.
Ad esempio “So io come farti sparire” oppure “Io ti faccio sparire, non devi più passare da queste parti” sono state ritenute frasi minacciose, anche se la persona offesa non si era lasciata intimidire [3].
Ciò significa che costituisce reato anche l’intimidazione della vecchina nei confronti di un omone grande e grosso, il quale non potrebbe realmente temere per la propria incolumità. Infatti, nel reato di minaccia la differenza di sesso e di età non conta.
Invece la frase “Lei non sa chi sono io” va valutata a seconda della situazione, del contesto concreto e delle qualità delle parti; così, a fronte di situazioni in cui non è stata considerata minaccia [4] (quando, per esempio, il tono della discussione non è particolarmente veemente e rivolto a prospettare un futuro male ingiusto), in altre è stata ritenuta penalmente rilevante.
In particolare, la Cassazione [5] ha detto che l’espressione “lei non sa chi sono io”, seguita dalla frase “te la farò pagare” e pronunciata in un generale contesto di alta tensione verbale, integra il delitto di minaccia, trattandosi di condotta potenzialmente idonea a determinare uno stato di turbamento e d’intimidazione nel destinatario.
In tema di minaccia, il carattere intimidatorio di un frase va valutato anche alla luce dei rapporti fra le parti. In particolare, nell’ambito di una separazione caratterizzata dal continuo ruolo di aggressore del marito nei confronti della moglie, l’ipotesi di un calcio inferto dal primo in danno della donna che ha voluto la separazione è sicuramente un limite alla libertà morale della donna e, quindi, valutabile come minaccia (nella specie, l’ex marito aveva minacciato la donna di prenderla a calci se l’avesse vista abbigliata in una determinata maniera [6]).
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