Il periodo di prova
Patto di prova: un accordo per testarsi reciprocamente e sulla cui tutela, in caso di nullità, si scontra la giurisprudenza
Sei stato assunto presso un’azienda con patto di prova. Questo significa che tu e il datore vi siete presi del tempo per valutare, rispettivamente, il tipo di lavoro che ti è stato assegnato e le tue capacità professionali, per decidere se, al termine del periodo concordato, proseguire poi il rapporto di impiego assieme, oppure recedere dal contratto di lavoro. Il periodo di prova serve proprio a questo e, nel corso della prova, azienda e lavoratore possono liberamente interrompere il rapporto di lavoro, senza che sia necessario addurre una specifica motivazione o dare un certo preavviso alla controparte. Vediamo allora come funziona esattamente il patto di prova, la sua durata, come deve essere stipulato dalle parti e cosa comporta il mancato superamento della prova.
Il patto di prova
Il patto di prova è quell’accordo tra datore di lavoro e lavoratore apposto al contratto di lavoro, con il quale si stabilisce che, per un certo periodo di tempo, le parti siano reciprocamente libere di capire se valga o meno la pena rendere definitivo loro rapporto.
Per essere valido, il patto di prova deve essere stipulato in forma scritta, e non può avere durata superiore a sei mesi, o al minor periodo di tempo previsto dalla contrattazione collettiva di categoria.
Il patto di prova, da stipularsi precedentemente o al massimo contestualmente alla stipulazione del contratto di lavoro, può essere apposto sia al contratto a tempo indeterminato, che al contratto a termine e deve contenere l’indicazione specifica delle mansioni assegnate al lavoratore e la durata della prova.
Compiuto positivamente il periodo di prova senza che nessuna delle parti manifesti la volontà di recedere dal rapporto di lavoro, questo diverrà definitivo.
La nullità del patto di prova
Quando il patto di prova non rispetta i requisiti previsti dalla legge è nullo e la sua nullità comporta la costituzione in capo al lavoratore di un rapporto a tempo indeterminato, fin dalla sottoscrizione del contratto.
Una prima ipotesi di nullità del patto di prova è integrata laddove esso non venga redatto in forma scritta, oppure quando preveda la propria durata per un periodo superiore a quello indicato dalla legge, o dal CCNL di riferimento.
Particolare ipotesi di nullità del patto di prova è quello che si verifica quando venga sottoscritto un patto di prova tra soggetti già precedentemente coinvolti in un rapporto di lavoro, in quanto in questo modo verrebbe vanificato lo scopo della prova; o, ancora, si considera nullo il patto di prova che preveda lo svolgimento di mansioni completamente diverse rispetto a quelle contemplate nel contratto di lavoro definitivo, oppure che non indichi affatto le mansioni cui verrà adibito il lavoratore.
La durata della prova
Come detto, il patto di prova non può avere durata superiore a sei mesi, o al diverso inferiore periodo previsto dalla contrattazione collettiva. È opportuno precisare che, nel computo dei giorni ai fini della determinazione della durata della prova, non debbono essere considerati i riposi settimanali, a meno che questo non sia previsto dal CCNL di categoria. Inoltre, per prevalente giurisprudenza, il patto di prova deve ritenersi sospeso con riferimento ai giorni in cui la prestazione non si è potuta verificare per eventi imprevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali ad esempio: malattia, infortunio, gravidanza e puerperio, permessi, sciopero, sospensione dell’attività aziendale, ferie.
Tutela in caso di licenziamento
Nel caso in cui datore di lavoro licenzi il dipendente in prova e il relativo patto si riveli nullo, la disciplina a cui fare riferimento diventa quella ordinaria, ossia quella applicabile in caso di licenziamento nell’ambito del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
In particolare, prima dell’entrata in vigore del “Jobs Act”, la disciplina applicabile era quella prevista dall’art. 18, L. 300/1970, o dall’ ‘art. 8, L. 604/1966, a seconda che il datore di lavoro occupasse più o meno di 15 dipendenti.
Oggi, con l’avvento del D.Lgs. 23/2015, la giurisprudenza è contrastante in merito alla tutela applicabile in caso di licenziamento durante il periodo di prova.
Secondo un primo orientamento, infatti, il lavoratore avrebbe diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, ravvisandosi nel licenziamento durante il periodo di prova un caso di assenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, la cui dimostrazione scaturirebbe proprio dalla nullità del patto di prova stesso.
Secondo invece diverso e più recente orientamento, il mancato superamento della prova non integrerebbe di per sé, nè presupporrebbe, una condotta disciplinarmente rilevante del lavoratore, dovendosi quindi ritenere che, in presenza di patto di prova nullo, il recesso motivato con riferimento al mancato superamento della prova sia da ritenere ingiustificato, trovando perciò applicazione la tutela di cui art. 3, comma 1, D.Lgs. 23/2015, che disciplina l’ipotesi di licenziamento intimato in assenza di giusta causa o giustificato motivo oggettivo o soggettivo. Alla luce di tale norma, dunque, il rapporto di lavoro dovrebbe considerarsi risolto dall’ data del licenziamento e il lavoratore avrebbe diritto solo a una indennità, in misura compresa tra 6 e 36 mensilità dell’ultima retribuzione utile ai calcolo del TFR.
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