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Il comporto vale per chi è divenuto disabile?

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(@angelo-greco)
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Come funziona il diritto del lavoratore a essere reintegrato e risarcito in caso di superamento del comporto dovuto a mansioni incompatibili con la salute.

La legge prevede un periodo di malattia coperto dal rischio licenziamento: questo periodo, che va sotto il nome di “comporto”, è indicato dal contratto collettivo. In buona sostanza, il dipendente assente per malattia non può essere licenziato finché non consuma tutti i giorni previsti dal suo CCNL. Ma che succede per chi contrae una malattia sul luogo di lavoro? Il comporto vale per chi è divenuto disabile? Una recente sentenza del Tribunale di Parma offre importanti chiarimenti sul tema. Cerchiamo di fare il punto della situazione.

Cos’è il comporto?

Il periodo di comporto, come anticipato, è un numero di giorni entro cui il dipendente può assentarsi dal lavoro per malattia senza il rischio, solo per tale motivo, di perdere il posto (il licenziamento potrebbe avvenire però per altre cause come, ad esempio, un comportamento contrario ai doveri contrattuali o la chiusura del reparto).

Non importa dunque se l’intermittente presenza del lavoratore può comportare disagi per l’azienda: se il comporto non è scaduto il datore non può procedere al licenziamento.

Una volta invece scaduto il comporto, il datore può comunicare la risoluzione del rapporto di lavoro senza bisogno di ulteriori motivazioni.

Per chi non vale il comporto?

Il periodo di comporto vale per tutti i lavoratori. Anche quelli che subiscono un infortunio sul lavoro sono tenuti a non superare il numero massimo di assenze previste dal contratto collettivo.

Il dipendente che, nonostante la scadenza del comporto, non sia ancora guarito potrebbe far ricorso a istituti come, ad esempio, l’aspettativa eventualmente prevista dal proprio contratto collettivo per allungare l’assenza dal lavoro; tuttavia non è compito del datore di lavoro informare il lavoratore di tale possibilità.

Il comporto non vale per chi subisce un infortunio sul lavoro imputabile alla mancata adozione, da parte del datore, delle misure di sicurezza volte a tutelare la salute dei dipendenti. Si pensi al caso di un operaio che cada da un ponteggio per non aver indossato l’elmetto protettivo o a un magazziniere che riporti una frattura a seguito di un pavimento scivoloso.

Insomma, tutte le volte in cui la malattia poteva essere evitata con l’adozione delle misure di protezione previste dalla legge, il dipendente può restare assente dal lavoro finché non guarisce completamente, anche se ha superato il comporto.

Il comporto vale per i disabili?

Ci si è chiesto se il lavoratore disabile debba essere trattato come quello in perfetta salute. In linea di principio, alcuna norma stabilisce una deroga alla disciplina generale. Sicché anche il portatore di handicap deve rispettare i termini del comporto se vuol conservare il posto di lavoro. Tuttavia non mancano precedenti che affermano il contrario. Ne abbiamo già parlato in Obblighi del datore di lavoro verso il dipendente divenuto disabile. Secondo ad esempio la Corte di Appello di Trento (sent. n. 8/2023), prima di procedere al licenziamento per superamento del comporto nei confronti del dipendente divenuto disabile sul lavoro, il datore deve verificare se sia possibile adibire il lavoratore ad altre mansioni. A tal fine deve adottare «soluzioni ragionevoli» per permettere ai lavoratori con disabilità di «accedere al lavoro e di conservarlo nei limiti delle massime disponibilità ed a patto che ciò non debba comportare per il datore oneri sproporzionati».

Che succede se il datore di lavoro adibisce il dipendente a mansioni incompatibili?

La legge italiana, all’articolo 2110 del Codice Civile, prevede che un lavoratore non possa essere licenziato per superamento del comporto se le sue assenze sono imputabili al datore di lavoro. Questo può accadere se il datore di lavoro assegna al lavoratore mansioni incompatibili con il suo stato di salute. Ad affermarlo è stato il Tribunale di Parma, con la sentenza n. 1341, sezione Prima del 18.04.2023.

Nel caso specifico, un dipendente era stato licenziato per superamento del comporto. Tuttavia, le sue assenze erano imputabili al datore di lavoro, in quanto era stato assegnato a mansioni non conformi alle sue capacità fisiche.

In casi del genere il licenziamento per superamento del comporto è nullo. E ciò perché dal periodo di conservazione del posto vanno detratte le assenze imputabili al datore, che ha assegnato il lavoratore a mansioni incompatibili con lo stato di salute dell’interessato. Poco importa che il medico competente a suo tempo abbia ritenuto il prestatore idoneo allo svolgimento dei compiti previsti: affidandosi all’ausiliario, infatti, il datore accetta il rischio di valutazioni sbagliate da parte del sanitario, che ben possono essere smentite in giudizio dal consulente tecnico d’ufficio.

Il caso pratico: la società di sosta tariffata

Il lavoratore in questione era impiegato in una società che gestisce la sosta tariffata dei veicoli. Era incaricato di svuotare i parcometri lungo le strade, un’attività fisicamente impegnativa incompatibile con la sua condizione medica, un’ernia del disco. Nonostante la diagnosi, il medico competente aveva erroneamente valutato il dipendente come idoneo a svolgere tali mansioni.

Il Tribunale di Parma ha stabilito che il licenziamento era nullo e che le assenze del lavoratore dovute alla malattia non avrebbero dovuto essere considerate nel calcolo del superamento del comporto. Il lavoratore è stato pertanto reintegrato e ha ricevuto un’indennità risarcitoria di dodici mensilità.

 
Pubblicato : 22 Luglio 2023 08:15