I comportamenti concludenti
Si può concludere un contratto con una stretta di mano? Quando c’è manifestazione tacita di volontà? Quand’è che vale il silenzio assenso?
Contrariamente a quanto si possa pensare, anche una stretta di mano può avere valore giuridico. Per la legge, infatti, le parti sono libere di stipulare un accordo nella forma che ritengono maggiormente opportuna. In altre parole, in base al cosiddetto principio della “libertà delle forme”, per concludere un contratto non occorre un atto scritto, a meno che la legge non stabilisca espressamente il contrario. Con questo articolo ci occuperemo proprio di questo aspetto, soffermandoci a parlare dei comportamenti concludenti.
Come meglio diremo nel prosieguo, sono comportamenti concludenti tutti quei fatti che, per il diritto, sono la manifestazione inequivocabile della volontà di un soggetto, alla quale la legge ricollega degli effetti giuridici precisi. Ad esempio, la persona che strappa il proprio testamento vuole evidentemente annullarne il contenuto; chi paga prima ancora di ricevere la merce è intenzionato a concludere il contratto di compravendita; e così via. Se l’argomento t’interessa, prosegui nella lettura: vedremo perché i comportamenti concludenti sono così importanti per la legge.
Come si conclude un contratto?
Come anticipato in premessa, la legge dice che le parti sono libere di concludere un contratto nella forma che ritengono più opportuna, a meno che non ne sia stabilita espressamente una particolare. Ad esempio, per legge tutti i contratti che riguardano i beni immobili devono farsi per iscritto.
Al di là delle specifiche indicazioni di volta in volta contenute nel Codice civile o nelle leggi speciali, ciascuno è libero di concludere un accordo nel modo che vuole: ad esempio, due conoscenti potrebbero ritenere sufficiente una stretta di mano oppure semplicemente un assenso verbale.
Insomma: per il diritto, chi vuole stipulare un accordo può tranquillamente trovare un’intesa anche in forma orale, attraverso gesti (la stretta di mano, come detto) oppure per fatti concludenti.
Comportamenti concludenti: cosa sono?
Sono comportamenti concludenti tutti i fatti che esprimono, in modo tacito ma chiaro, la volontà di una persona.
Ad esempio, chi, in edicola, prende il giornale direttamente dagli scaffali e lascia i soldi sul banco, chiaramente esprime la volontà di acquistare quel bene; chi strappa il proprio testamento intende ovviamente annullarlo; chi inserisce le monete nel distributore automatico manifesta inequivocabilmente l’intenzione di acquistare un prodotto.
E ancora: chi parcheggia l’auto sulle strisce blu segnala l’intenzione di contrarre un accordo con l’ente pubblico o col privato gestore del parcheggio a pagamento; chi sale su un autobus mostra la volontà di contrarre un servizio di trasporto di persone con la società di linea; chi entra in un ristorante e siede a un tavolo manifesta l’intenzione di consumare.
Insomma: sono comportamenti concludenti tutte le azioni che rendono evidente all’esterno una precisa volontà, senza che gli altri possano avere dubbi a riguardo. I fatti concludenti sono quindi manifestazioni tacite di una volontà che produce effetti giuridici.
Comportamenti concludenti: sono validi?
Per la legge, i comportamenti concludenti sono validi a tutti gli effetti, nel senso che hanno un’efficacia giuridica precisa, proprio come se fossero un contratto scritto.
Esempio di quanto appena detto è la cosiddetta “esecuzione prima dell’accettazione” [1]: il contratto si intende concluso senza che una delle parti abbia espressamente accettato, semplicemente attraverso l’esecuzione della prestazione.
Esempio emblematico di comportamento concludente mediante esecuzione prima dell’accettazione è quello degli acquisti online: chi ordina un prodotto scegliendolo in internet non ha bisogno di attendere che il venditore accetti, in quanto il contratto si conclude direttamente con l’invio della merce selezionata.
Altro esempio di fatto concludente, sopra richiamato, è quello di colui che strappa il testamento: in questo caso non c’è bisogno di un nuovo testamento che cancelli il precedente, essendo sufficiente questo gesto per manifestare la precisa volontà del testatore di tornare sui suoi passi.
Il silenzio è un comportamento concludente?
Tra i comportamenti concludenti rientra anche il silenzio? Si può manifestare una volontà che ha rilevanza giuridica semplicemente non dicendo nulla?
Sul punto non c’è unanimità di vedute: la tesi prevalente, però, ritiene che il silenzio non possa essere un fatto concludente, in quanto vi sarebbe il rischio di ricollegare degli effetti giuridici a una condotta che potrebbe essere equivocata.
In altre parole, il silenzio non è un fatto a cui è possibile attribuire un significato indiscutibile. Di conseguenza, la regola del “silenzio assenso” varrebbe solamente nei casi espressamente previsti dalla legge, come ad esempio nell’ipotesi di inerzia della pubblica amministrazione davanti all’istanza del cittadino.
In genere, quindi, il silenzio di un soggetto coinvolto in una trattativa contrattuale non può considerarsi idoneo a manifestare l’intenzione di contrarre, a meno che non sia accompagnato da fatti che dimostrino, secondo il comune modo di agire, un’indiscutibile manifestazione di volontà: è il caso, come detto in precedenza di chi, pur rimanendo in silenzio, faccia un cenno d’intesa oppure stringa la mano a chi gli sta di fronte.
È poi possibile che due persone si siano preventivamente messe d’accordo per attribuire un preciso significa all’assenza di dichiarazioni.
Ad esempio, se le parti mettono per iscritto che il futuro consenso alla stipula di un contratto potrà manifestarsi col semplice silenzio, allora l’inerzia sarà un fatto concludente perché le parti si erano accordate preventivamente in questo senso.
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