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Figlio nato all’estero: posso riportarlo con me in Italia?

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(@paolo-florio)
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Sottrazione internazionale di minori: la madre può tornare nel proprio Paese di origine se non è radicata all’estero. 

Ipotizziamo il caso di una donna che conviva in Spagna con un cittadino iberico e che, dopo qualche mese di relazione, partorisca un figlio. Se la coppia dovesse separarsi, lei potrebbe tornare in Italia con il neonato oppure un comportamento del genere potrebbe essere considerato reato di sottrazione internazionale di minore? La questione è stata posta all’attenzione della Cassazione [1]. Il caso è identico a quello che abbiamo appena rappresentato come esempio. Lei era stata condannata in primo grado ma si è poi rivolta alla Suprema Corte. La domanda della madre era abbastanza chiara: «Se ho un figlio nato all’estero, posso riportarlo con me in Italia?».

Ebbene, secondo i giudici supremi, non c’è sottrazione internazionale di minore se la mamma non radicata all’estero porta in Italia il figlio ancora di pochi mesi senza aver prima chiesto il consenso del padre. E ciò anche se, nei mesi successivi alla separazione, ha continuato a vivere all’estero frequentando il papà «con regolarità». Il giudice, infatti, non può dare rilievo unicamente al luogo di nascita e ai contatti regolari con l’altro genitore in quel breve periodo.

Dunque, in materia di sottrazione internazionale di minori, secondo la Suprema Corte, non basta essere nato e aver vissuto qualche mese nel Paese dove vive il papà, per farne automaticamente il luogo di residenza abituale. 

Il fattore rilevante ai fini della determinazione della residenza abituale del minore è rappresentato dalla sua tenerissima età, tale cioè da non aver ancora creato dei rapporti stabili con il luogo di residenza del papà.

La madre infatti era arrivata nel Paese nell’ambito del Progetto Erasmus non vi aveva mai lavorato, né stabilito “legami significativi”, al di fuori della ormai conclusa relazione sentimentale, durata, con varie interruzioni, per circa due anni. Non solo, aveva riferito di avere partorito in Spagna prematuramente, essendo seguita dal proprio ginecologo in Italia, e di avere convissuto, con il padre del bambino, in casa della madre di lui, solo un mese. 

Ricordiamo che il reato di sottrazione internazionale di minore si configura quando il minore viene sradicato dal luogo della propria residenza. È dunque la residenza il punto cruciale per comprendere se sussiste o meno l’illecito penale.

La Cassazione, nell’accogliere la domanda, ha ricordato che i fattori rilevanti ai fini del giudizio sull’integrazione stabile del minore in ambiente familiare e sociale in un dato Paese variano in funzione dell’età del minore interessato e, quando si tratta di un neonato (ma il discorso può essere esteso ai primi anni di vita del bambino), il suo ambiente è essenzialmente familiare, determinato dalla persona o dalle persone di riferimento con le quali vive, che lo custodiscono effettivamente e si prendono cura di lui. In sostanza quando un lattante è effettivamente custodito da sua madre, in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede abitualmente il padre, occorre prendere in considerazione segnatamente, da un lato, la regolarità, le condizioni e i motivi del soggiorno della genitrice nel territorio del primo Stato membro e, dall’altro, le origini geografiche e familiari della madre nonché le relazioni familiari e sociali intrattenute da quest’ultima e dal minore nel medesimo Stato membro

In definitiva, per la Cassazione, in tema di sottrazione internazionale di minori, va affermato il seguente principio di diritto: «Quando un bambino, in età non scolare, nei primi mesi di vita – (nella specie, meno di otto mesi di età) -, sia effettivamente custodito dalla madre, in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede abitualmente il padre, ai fini dell’individuazione della “residenza abituale” del minore occorre fare riferimento all’ambiente sociale e familiare e alla cerchia delle persone da cui lo stesso minore dipende e che egli necessariamente condivide, come rilevato dalla giurisprudenza eurounitaria».

«Ai fini dell’accertamento di tale residenza abituale, occorre prendere in considerazione, da un lato, la regolarità, le condizioni e i motivi del pregresso soggiorno della genitrice nel territorio del primo Stato membro e, dall’altro, le relazioni familiari e sociali effettivamente intrattenute da quest’ultima e dal minore, con essa convivente, nel medesimo Stato membro, verificando se, al momento in cui è stato adito il giudice, la madre e il minore, che dipende da quest’ultima, fossero presenti in modo stabile nel territorio di quello Stato e se, in considerazione della sua durata, della sua continuità, delle sue condizioni e ragioni, tale soggiorno denoti una apprezzabile integrazione del genitore in questione in un ambiente sociale, perciò condiviso con il minore, pur non potendosi trascurare l’altro genitore con cui il minore mantenga contatti regolari».

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Pubblicato : 4 Novembre 2022 09:00