Figlio disoccupato: da che età perde il mantenimento?
Fino a quando i genitori sono tenuti a pagare gli alimenti al figlio, a mantenerlo e a ospitarlo in casa.
Quanto tempo può restare disoccupato un figlio prima di perdere anche il mantenimento? Ipotizziamo il caso di un giovane che, non riuscendo a trovare lavoro, ma avendo anche terminato il proprio percorso di studi – o avendolo interrotto e non avendo alcuna intenzione di proseguire nella formazione – resti senza soldi per vivere. Il padre, che gli paga gli alimenti da diversi anni, decide di tagliare anche l’ultimo cordone ombelicale. «Il ragazzo è ormai troppo grande per essere mantenuto dai genitori», sostiene l’uomo. Ha ragione? È davvero così? Un figlio disoccupato, da che età perde il mantenimento?
La domanda è stata posta più di una volta alla Cassazione. Una recente pronuncia della Corte [1] sottolinea ancora una volta che esiste un vero e proprio spartiacque tra l’età della gioventù, in cui i figli, anche se maggiorenni, devono hanno diritto ad essere mantenuti affinché possano formarsi e l’età della maturità in cui invece arriva per tutti il momento di rimboccarsi le maniche e darsi da fare.
La questione deve essere posta nel seguente modo, in base alle attitudini e alle aspirazioni del giovane:
- finché il figlio è minorenne, ha sempre diritto ad essere mantenuto, indipendentemente da ciò che fa;
- nel momento in cui compie 18 anni, il figlio deve prendere una decisione: o continua gli studi con profitto, e allora avrà diritto a ricevere ancora gli alimenti finché non termina il percorso formativo, oppure deve trovare un’occupazione. Se resta “Neet” (ossia che non studia, né lavora, né riceve una formazione), non ha più diritto al mantenimento).
Poniamo allora il caso del ragazzo che, maggiorenne, decida di non frequentare l’università. È legittimo attendere che questi provi a trovare un’occupazione: un anno, due al massimo. Ma questa situazione non può restare in eterno. Ragion per cui il genitore può tagliargli gli alimenti. Non può farlo da sé, ossia di propria iniziativa, ma deve prima rivolgersi al giudice affinché modifichi la precedente sentenza con cui aveva fissato l’importo dell’assegno mensile.
Poniamo infine l’ulteriore caso del giovane che decida di frequentare l’università. La legge non può tutelare chi gingilla tra i corridoi dell’ateneo e non dà esami. Quindi, il giovane deve proseguire gli studi e mostrare risultati, quantomeno nell’avanzamento dei corsi (non è richiesta una media “minima” per mantenere il diritto al mantenimento).
Una volta laureato, il giovane dovrà iniziare a pensare al lavoro. Ed anche qui ci vuole un minimo di tolleranza. Il padre non può, dall’oggi al domani, revocare ogni sostegno. Incide poi fortemente il luogo ove si trova il ragazzo (è nota infatti la crisi occupazionale in alcune zone d’Italia più depresse), ma soprattutto il campo d’attività da questi prescelto. Chi opta per la libera professione dovrà fare la pratica e, dopo di questa, la gavetta per trovare clienti.
Ma, al di là di tutte le difficoltà che possono esserci nel trovare lavoro, la Cassazione ha fissato un termine ultimo oltre il quale lo stato di disoccupazione può presumersi essere colpevole, ossia determinato dall’inerzia del ragazzo e non da fattori esterni come il mercato. E questo termine coincide con i 30 anni.
Ecco dunque che veniamo all’ultima ordinanza della suprema Corte. Senza dover per forza richiamare l’ormai inflazionato – e a tratti offensivo – termine “bamboccioni”, secondo i giudici supremi il figlio adulto, con almeno trent’anni, ma ancora disoccupato, non ha più diritto al mantenimento, neppure se vive ancora a casa con mamma e in territori, come alcune zone del sud, dove è più difficile reperire un lavoro. Anzi, a ben vedere, i genitori potrebbero anche imporgli di andare via di casa.
La decisione in commento poggia su due principi. In primo luogo, in caso di figlio maggiorenne e non autosufficiente, i presupposti su cui si fonda l’esclusione del diritto al mantenimento sono integrati:
- dall’età del figlio, destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età progressivamente più elevata si accompagna tendenzialmente il venir meno del diritto al mantenimento;
- dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro.
Risultato: il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l’esigenza a una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione mera dell’obbligo di mantenimento del genitore, quasi che questo sia destinato ad andare avanti per sempre.
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