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È vero che chi non paga una prostituta commette violenza sessuale?

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(@angelo-greco)
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Quando si può parlare di violenza sessuale ai danni di una escort o di una prostituta: tutte le ipotesi analizzate dalla Cassazione 

Circola da tempo in rete la notizia secondo cui la Cassazione penale avrebbe condannato un uomo per il reato di violenza sessuale ai danni di una prostituta per il fatto non averle corrisposto, al temine del rapporto, il compenso precedentemente pattuito. La sentenza sarebbe la n. 8286 del 3 marzo 2010. In verità la lettura della pronuncia offre ben poco materiale per comprendere la vicenda concreta. E anzi, dai pochi accenni ai fatti, sembrerebbe che questi si siano svolti in modo parzialmente diverso da ciò che si crede, quel tanto che basta per cambiare completamente il senso del principio enunciato dalla Corte. Ce ne occuperemo qui di seguito. Vedremo cioè se è vero che chi non paga una prostituta commette violenza sessuale. Ma procediamo con ordine.

Quando è violenza sessuale con la prostituta?

Partiamo col dire che il reato di violenza sessuale non viene meno, né subisce un trattamento meno rigoroso, per il fatto che la vittima sia una escort o una prostituta. L’attività svolta dalla parte lesa non esclude che anche questa abbia il diritto di “autodeterminazione” ossia di decidere se e con chi consumare un rapporto.

Non poche sentenze hanno infatti portato alla condanna di clienti particolarmente violenti che hanno costretto la prostituta a consumare un rapporto secondo modalità da questa non volute. 

Si consideri la sentenza n. 19732/2010 con cui la Cassazione ha testualmente detto: «Il delitto di violenza sessuale è configurabile anche nel caso in cui si eserciti violenza o minaccia per costringere una prostituta a consumare un rapporto sessuale non consensuale, in quanto il principio di libera autodeterminazione della sfera sessuale trova applicazione anche nei suoi confronti, attenendo all’esclusiva disponibilità di quest’ultima la vendita del proprio corpo».

Ed è sempre la Cassazione a dire che «In materia di violenza sessuale non può riconoscersi l’attenuante del fatto di minore gravità per essere la persona offesa dedita alla prostituzione» (sent. n. 2469/2016 e n. 12836/2012). 

Integra altresì la violenza sessuale imporre alla prostituta un rapporto non protetto quando questa si era disponibile alla prestazione solo a condizione che fossero usati i preservativi (Cass. sent. n. 30046/2021).

Interessante è il precedente del Tribunale di Napoli (sez. uff. Indagini preliminari n. 2039/2010) secondo cui si può parlare di violenza sessuale anche quando c’è stato un precedente accordo tra la prostituta e il cliente sulla prestazione sessuale ma quest’ultimo decide di portarla in un luogo diverso da quello pattuito, lì costringendola ad avere rapporti sessuali ad un prezzo inferiore (cinque euro invece di venti) con la minaccia di una pistola.

Le predette pronunce fanno ben intendere che la donna che eserciti la prostituzione ha diritto a scegliere se, a quali condizioni (anche economiche) e con quali modalità intrattenere il rapporto con il proprio cliente senza che questi possa imporre con la violenza una diversa prestazione. 

È violenza sessuale obbligare la prostituta a proseguire il rapporto sessuale

La volontà della prostituta non deve essere coartata non solo all’inizio ma anche durante la prestazione. Essa deve rimanere cioè integra in ogni momento del rapporto. Sicché, come ha ribadito la Cassazione (sent. n. 32892/2017) integra violenza sessuale il comportamento di chi aggredisce la prostituta che chiede di interrompere il rapporto precedentemente pattuito e iniziato. Non contano le ragioni del ripensamento.

Non pagare la prostituta è reato di violenza sessuale?

Arriviamo alla questione da cui siamo partiti e chiediamoci se il mancato pagamento della prostituta possa integrare il reato di violenza sessuale. In realtà, per il nostro ordinamento, la violazione di un contratto è un semplice illecito civile. Dunque, dovrebbe esserlo anche l’inadempimento del patto con la squillo. È vero che, in questo caso, il contratto con la prostituta è nullo perché contrario al buon costume, sicché la donna non potrebbe mai ricorrere al giudice civile per far valere i suoi diritti, ossia per chiedere la condanna del proprio cliente al pagamento della somma pattuita né tantomeno ottenere nei suoi riguardi un decreto ingiuntivo. Un contratto nullo, perché contrario al buon costume, non può essere azionato dinanzi a qualsiasi tribunale. Ma ciò non toglie che la violazione dell’accordo non possa qualificarsi di per sé come un illecito penale. Nessuna norma del codice penale stabilisce che la violazione di un patto è reato. E questo dovrebbe valere anche per i patti contrari al buon costume. 

Il reato di violenza si può configurare solo quando si ricorra a comportamenti violenti (come visto sopra) o ad altri espedienti per proseguire il rapporto appena iniziato. Si pensi al cliente che rassicuri la prostituta, ad inizio prestazione, che verrà regolarmente pagata quando questi ha già in animo di non corrisponderle il dovuto. In questo caso si è in presenza di un consenso estorto con il dolo o l’inganno. 

Nella sentenza della Cassazione citata in apertura vi sono pochi elementi per ricostruire i fatti. Il sito cassazione.net che ha pubblicato la pronuncia la commenta con queste parole: «Commette il reato di stupro, l’individuo che, durante un rapporto sessuale con una prostituta, a seguito della richiesta della donna di essere disposta ad andare avanti solo in seguito al pagamento, si rifiuta darle quanto pattuito». Ed è qui infatti l’«inghippo»: l’aver violato la volontà e il consenso della donna che era subordinato chiaramente a una condizione che poi non è stata mantenuta. 

 
Pubblicato : 1 Giugno 2023 15:00