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È discriminatorio applicare lo stesso comporto ai disabili?

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(@raffaella-mari)
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La giurisprudenza stabilisce che l’applicazione rigida del periodo di comporto previsto in generale dal contratto collettivo anche ai disabili è discriminazione indiretta.

Come noto, esiste un numero di giorni di assenza per malattia che ciascun lavoratore può sfruttare nel corso dell’anno senza il rischio di perdere il posto. Questo periodo, chiamato “periodo di comporto”, è indicato dai vari contratti collettivi nazionali e può variare a seconda della categoria lavorativa. Tuttavia, ci si chiede se, per chi è affetto da patologie invalidanti, il trattamento debba essere lo stesso di quello riservato agli altri lavoratori che invece, godendo di buona salute, hanno meno probabilità di assentarsi. Insomma, è discriminatorio applicare lo stesso comporto ai disabili? Possono questi ultimi godere di una maggiore “elasticità” ossia di qualche giorno in più rispetto ai colleghi?

Una recente sentenza della Corte d’Appello di Roma, in linea con la Corte di Cassazione, segna un punto di svolta nella giurisprudenza sul lavoro, affrontando la questione della discriminazione indiretta dei lavoratori disabili legata all’applicazione del periodo di comporto. Cerchiamo di comprendere quali sono i principi che regolano la materia: principi che, come vedremo a breve, seppur non trovano alcuna espressa enunciazione nella legge, sono ormai sanciti dalla giurisprudenza in linea con l’articolo 3 della Costituzione italiana. Ma procediamo con ordine.

La vicenda

Un lavoratore disabile dell’ARIF, con un grado di invalidità del 67%, era stato licenziato per aver superato il limite di assenze previsto dal proprio CCNL. Il lavoratore aveva contestato il licenziamento, sostenendo che l’applicazione rigida del periodo di comporto dovesse tenere conto delle sue esigenze specifiche legate alla disabilità.

La questione dunque si concentra sulla rigida applicazione del periodo di comporto – termine entro cui un lavoratore può assentarsi per malattia – nei confronti dei lavoratori disabili e su come questa pratica possa costituire una forma di discriminazione indiretta.

Il Tribunale di Roma, in primo grado, aveva tuttavia respinto la richiesta del lavoratore, poiché questi non aveva comunicato la propria disabilità al datore di lavoro, impedendo così l’adozione di misure protettive specifiche.

In secondo grado, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione ritenendo illegittimo il licenziamento e dichiarandone la nullità. La decisione si basa sull’idea che le assenze del lavoratore fossero direttamente correlate alla sua disabilità. Secondo i giudici di secondo grado, l’applicazione ai disabili dello stesso periodo di comporto previsto dal CCNL per tutti gli altri lavoratori costituisce la violazione del principio costituzionale di non discriminazione che trova riconoscimento all’art. 3 Cost.

La sentenza si basa sull’articolo 2 del D.Lgs. 216/2003 e sulla direttiva 2000/78/CE, che richiedono di considerare le esigenze particolari dei lavoratori disabili.

Inoltre, si è tenuto conto dell’articolo 2110 del Codice Civile per valutare l’applicabilità del recesso dal contratto di lavoro in caso di prolungate assenze legate a disabilità.

Cosa dice la Cassazione sull’applicazione del comporto ai disabili?

La Corte d’Appello si è rifatta all’interpretazione della Cassazione (sent. n. 9095/2023) secondo cui la rigida applicazione del periodo di comporto ai lavoratori disabili configura una forma di discriminazione indiretta. Questa posizione si basa sul riconoscimento che i lavoratori con disabilità sono soggetti a una maggiore propensione ad assenze involontarie, direttamente connesse alla loro specifica condizione di salute.

Quali sono le implicazioni della sentenza per i datori di lavoro?

La sentenza della Corte d’Appello di Roma impone ai datori di lavoro una riflessione critica sulle proprie politiche aziendali, specialmente riguardo al periodo di comporto. Richiede un rinnovato approccio alle esigenze dei lavoratori disabili, sollecitando una gestione più consapevole e responsabile delle assenze per malattia.

I datori di lavoro sono pertanto invitati a adottare pratiche lavorative più inclusive, che tengano conto delle specificità dei lavoratori disabili. L’applicazione indiscriminata di regolamenti generali può risultare in effetti discriminatori. La sentenza esorta a evitare condotte che potrebbero essere interpretate come discriminatorie e a valorizzare la diversità.

I datori di lavoro devono essere protagonisti attivi in questo cambiamento, attuando politiche che rispettino non solo le normative ma che contribuiscano effettivamente alla creazione di un ambiente lavorativo equo. La sentenza sottolinea la loro responsabilità nel garantire che le esigenze dei lavoratori disabili siano pienamente riconosciute.

Che impatto ha questa sentenza sul quadro giuridico e sociale?

La sentenza n. 3716/2023 rappresenta un passo significativo nella giurisprudenza del lavoro, confermando un quadro giuridico che protegge i diritti dei lavoratori disabili. Essa sottolinea l’importanza e l’urgenza di un approccio attento alle esigenze dei lavoratori disabili nelle relazioni lavorative.

 
Pubblicato : 15 Dicembre 2023 14:30